"io decido X Albignasego" è il nome del movimento civico che vuol dare la parola ai cittadini di Albignasego, comune della provincia di Padova ... e non solo!

sabato 28 luglio 2012

Federalismo europeo e regionalismo italiano

In questi giorni di assolata calura estiva, le amene conversazioni con amici seduti attorno ai tavoli di improvvisati stand - dove si gustano prelibate cozze marinate e piatti di spaghetti profumati dai frutti del mare - mi portano a riflettere sul malessere dell'Europa e sugli atavici mali italiani.

E mi sembra, immerso come sono nelle connessioni logiche e nei legami storico-culturali della mia terra, di vedere con maggior chiarezza le decisioni politiche da cui potrebbe scaturire la cura per entrambi questi malesseri, che ci fanno soffrire da tempo.

Si è sempre pensato all'Europa come ad una Unione di diversi, ricordate il motto "Uniti nella diversità"? Ho capito che questo tipo di approccio è in parte sbagliato. Nei confronti dell'Europa dobbiamo cambiare mente e riusciremo a farlo se cambieremo atteggiamento nei confronti del nostro paese.

Il perché è presto detto. Con la parola Unione si intende un movimento delle parti verso il centro, un processo sintropico per porta dalla dispersione all'organizzazione. Gli organismi viventi sono un esempio di questo tipo di movimento: sono infatti costituiti da cellule, tessuti, organi ed apparati che cooperano, tutti insieme, all'unità del corpo. Se anche solo uno di questi decidesse di andare in direzione diversa, cioè di divergere dalla linea comune, metterebbe a repentaglio la sopravvivenza di tutto l'organismo. Ecco qui espresso il concetto sbagliato di diversità. Non possiamo consentire che le diversità, cioè i moti divergenti (entropici), disintegrino l'Unione.

Purtuttavia, ritornando all'esempio dell'organismo, notiamo che ciascun componente è chiaramente distinto da tutti gli altri, a tutti i livelli: ogni cellula da ogni altra cellula, ogni tessuto da ogni altro tessuto, ogni organo da ogni altro organo. Guai se pensassimo di far svolgere allo stomaco il compito del polmone, al nervo il compito del vaso sanguigno, al muscolo il lavoro delle ossa. Ecco il concetto corretto di diversità: la prerogativa che consente di svolgere un compito distinto ed in armonia con tutti gli altri componenti dell'organismo.

Cosa ne faremmo di uno stomaco che non digerisse i cibi? A nulla servirebbe se non ad essere tagliato via affinché il resto del corpo non ne venga contaminato. A cosa mai potrebbe servire un cervello se non avesse la capacità di pensare e non la mettesse in pratica? Procurerebbe danni all'intero corpo vivente, fino a farlo morire!

Credo che sia chiaro il punto a cui vorrei arrivare con la mia riflessione. Lo riassumo qui: il regionalismo italiano, costruito attorno ad una ripartizione geografica, linguistica e storica dell'Italia, a sua volta suddivisa in province e comuni costituiti con lo stesso criterio (a cui oggi si devono aggiungere le città metropolitane), è ancora uno strumento amministrativo adeguato od andrebbe aggiornato coi mutati tempi e luoghi?

Penso che la suddivisione amministrativa del paese dovrebbe basarsi su altri criteri e dico subito quali:
  1. efficienza economica
  2. legami sociali e di cittadinanza
  3. sostenibilità ambientale
  4. omogeneità territoriale
  5. linee di comunicazione
La struttura regionale, provinciale, comunale, metropolitana andrebbe completamente rivisitata alla luce di questi criteri, forse abolendo qualche livello.

Potremmo chiamarli distretti, una cinquantina potrebbe essere un numero congruo, ma non vincolante. L'importante è che gli abitanti del territorio e delle città siano aggregati in unità coese secondo i cinque criteri di coerenza ed efficacia sopra citati.

Risulta così evidente che la Liguria, la Puglia e la Calabria sono troppo strette e lunghe per assicurare una efficacia amministrativa: devono essere disarticolate e riaggregate in più unità compatte e, al contempo, espanse verso le regioni limitrofe. Il Piemonte, la Lombardia, il Veneto e l'Emilia-Romagna sono troppo estese, popolate e disomogenee, andrebbero suddivise in più distretti, distinguendo le aree montane, aggregando alcune province litoranee all'entroterra (La Spezia-Massa Carrara-Parma-Reggio Emilia), il Bellunese con la Carnia, il Cuneese col Savonese, il Pavese con il Genovese, e così via.

Si eliminerebbero alcune assurdità, quali province lunghe e strette come quelle di Venezia e Livorno, che andrebbero raccordate col proprio retroterra economico e culturale.

Il Lazio e la Campania andrebbero smembrate, costituendo le città metropolitane di Roma e di Napoli, autonome e distinte dalle adiacenti zone rurali a vocazione agricola e paesaggistica.

Infine, le grandi isole dovrebbero ospitare un massimo di due-tre distretti indipendenti e coordinati (alla maniera, mutatis mutandis, della Regione autonoma Trentino-Alto Adige).

Essendo la Valle d'Aosta, l'Umbria, le Marche, il Molise, la Basilicata già della giusta dimensione, andrebbero confermate come distretti. L'Abruzzo e la Toscana dovrebbero essere suddivise in due-tre distretti ciascuna.

Ecco il vero modello federale: distretti coesi al proprio interno, sostenibili economicamente ed autonomi gli uni dagli altri, distinti e cooperanti al livello nazionale. Diversamente dall'imbroglio della Padania, col suo ennesimo parlamentino, luogo di rappresentanza non tanto di un popolo che non c'è, quanto di una ristretta cerchia di soci in affari.

Il giorno in cui i popoli fossero pronti a fare questo passo, ognuno nei propri paesi di origine, i tempi sarebbero maturi per realizzare il federalismo europeo, ad altro livello, con rinnovato impegno. Non più Stati Nazione che si guardano con sospetto e competono senza esclusione di colpi sui mercati internazionali, ma Popoli finalmente liberi di essere "Uniti nella diversità", popoli che guardano ad un centro politico aggregatore europeo, dal quale e attraverso il quale, poter irradiare la propria cultura nei cinque continenti e gettar luce su un pianeta sul quale stanno calando rapidamente le tenebre.

sabato 21 luglio 2012

L'osservatore, questo sconosciuto

Comincia con questo post una serie di interventi che vogliamo definire "ai confini della realtà", non perché trattino di fantascienza, ma perché trattano di teorie ed esperimenti che conducono oltre i limiti tracciati fino ad ora dalla ricerca scientifica, nella consapevolezza che, se la ricerca è tale, è bene non porsi mai limiti invalicabili.

Nell’introduzione di La mente cosciente, David Chalmers (1996) afferma che:

“La coscienza è il più grande dei misteri. E’ forse il maggiore ostacolo nella nostra ricerca di una comprensione scientifica dell’universo. Pur non essendo ancora complete, le scienze fisiche sono ben comprese, e le scienze biologiche hanno rimosso molti degli antichi misteri che circondavano la natura della vita. Sebbene permangano lacune nella comprensione di questi campi, esse non paiono tuttavia intrattabili. Abbiamo un’idea di come potrebbe configurarsi una soluzione a questi problemi; abbiamo solo bisogno di aggiustare i dettagli. Molti progressi sono stati compiuti anche nella scienza della mente. Il lavoro recente nell’ambito della scienza cognitiva e delle neuroscienze ci ha portato a una migliore comprensione del comportamento umano e dei processi che lo guidano. Certo non disponiamo di molte teorie dettagliate della cognizione, ma la conoscenza dei dettagli non può essere troppo lontana. Invece, la coscienza continua a lasciare perplessi, come è sempre avvenuto. Sembra ancora completamente misterioso che i processi che causano il comportamento debbano essere accompagnati da una vita interiore soggettiva. Abbiamo buone ragioni di credere che la coscienza nasca da sistemi fisici come i cervelli, e tuttavia non abbiamo alcuna idea di come abbia origine, o del perché essa esista. Come può un sistema fisico come il cervello essere anche un soggetto di esperienza? Perché dovrebbe esserci un qualcosa di simile a un tale sistema? Le teorie scientifiche contemporanee difficilmente toccano le questioni realmente difficili relative alla coscienza. Non solo non disponiamo di una teoria dettagliata, ma siamo completamente all’oscuro di come la coscienza si concili con l’ordine naturale.”

Se condividete queste affermazioni, sarete certamente d'accordo con me che la mancata comprensione dei fenomeni naturali, che sarebbero alla base della formazione della coscienza negli esseri viventi, pone un serio interrogativo sulla coerenza interna di tutto il sistema delle scienze matematiche, fisiche e naturali.

Se il conoscente è sconosciuto, che affidabilità potranno mai avere i risultati collezionati con estrema dovizia da migliaia di ricercatori umani in tutti i campi dello scibile?

Se il soggetto che parla è e rimane a se stesso - e agli altri - un mistero, quale valore può avere la trasmissione della sua personale conoscenza ad altri soggetti, come lui altrettanto misteriosi, se non quello di un atto autoreferenziale?

Chi, o che cosa, potrà mai dare un significato all'avventura della coscienza vivente in questo universo?

A questo punto si chiarisce quella che è una verità inconfutabile: il ricercatore non può fondare alcuna conoscenza su se stesso, rimanendo egli stesso inconoscibile.

Un'altro deve essere il soggetto o principio fondante della ricerca scientifica.

C'è un Altro che rende affidabili i risultati della ricerca scientifica. E' qualcuno - o qualcosa - che sta fuori della porta del laboratorio, o, se preferite, sotto il tavolo di lavoro, che fornisce coerenza interna a tutto lo scenario della scienza e della conoscenza.

Il 2° teorema di Godel è valido pure in questa circostanza: Nessun sistema coerente può essere utilizzato per dimostrare la sua stessa coerenza.

mercoledì 18 luglio 2012

Cause attrattive e cause dispersive

In forza di moderne teorie scientifiche quali il meccanicismo per quel che riguarda il mondo delle cose inanimate e il darwinismo per il mondo vivente, ci siamo abituati ad immaginare che ogni causa sia nel passato del proprio effetto. Di questo assioma non vi è certezza, al contrario, è possibile ipotizzare l'esistenza di cause posizionate nel futuro che "attraggono i sistemi naturali" verso una possibile configurazione altrimenti inspiegabile. Noi stessi, ogni volta che decidiamo in autonomia, ovvero operiamo una libera scelta tra due o più possibilità, creiamo un futuro diverso, in funzione di un'idea di futuro preordinata che vogliamo realizzare. Ma non è solo questione di scelta intelligente e ponderata, perché spesso e volentieri agiamo d'impulso, d'istinto, senza riflettere e, ciononostante, scegliamo una strada piuttosto che un'altra.

Allora tutto è governato dal caso?

Fosse vero saremmo sollevati da ogni responsabilità per quanto è accaduto, accade ed accadrà ... in questo caso sarebbe meglio dire che "tutto è abbandonato al caos" (come è, purtroppo, il caso del nostro paese).

Quindi il caso come generatore del caos?

E se il caso fosse semplicemente l'insieme delle cause, passate e future, che noi non possiamo conoscere, perché vanno oltre le nostre possibilità di comprensione e di osservazione? Sappiamo, ad esempio che esistono stelle oltre il nostro orizzonte degli eventi (il limitare dello spazio da cui ci giungono le onde luminose emesse fin dall'inizio dell'universo), eppure non nutriamo alcun dubbio sulla loro esistenza.

Allora noi chiameremmo caso ciò che sta alla radice dell'esistenza delle cose e che semplicemente ci è precluso conoscere (c'è un noto teorema, di Godel, che tratta proprio dell'impossibilità dei sistemi finiti di darsi delle fondamenta autonome).

Ritornando alle cause poste nel futuro, nella teoria sintropica di Fantappiè sono definite col nome di attrattori; esse sono meno evidenti delle cause dispersive (in linguaggio scientifico: entropiche) posizionate nel passato. Perché di quest'ultime ci è concesso di esaminare le tracce catastrofiche od evolutive, che permangono fino al momento presente, mentre sulle prime si possono solo fare ipotesi collocate nel futuro, pertanto non osservabili, né ripetibili.
L'indagine scientifica moderna è basata sul metodo sperimentale, applicato per primo da Galileo Galilei, tale metodo pone lo sperimentatore nell'atteggiamento di passiva osservazione degli effetti derivanti da cause accertate, siano esse provocate o meno dallo sperimentatore stesso.
Questo atteggiamento prescinde da qualsiasi riflessione filosofica o valutazione morale sui risultati dell'esperimento scientifico, sia a priori che a posteriori; potremmo dire, usando parole profane: non poteva andare diversamente, abbiamo lasciato le cose devolvere spontaneamente nella direzione di un aumento del caos materiale e della dispersione energetica.

Ciononostante c'è almeno un principio naturale che contrasta con l'interpretazione caotica dell'evoluzione dell'universo, si tratta della forza di gravità. Infatti si tratta di una forza attrattiva che è pure un attrattore universale: costruttore di mondi, di sistemi, di galassie. Dal caotico gas primordiale si sono lentamente formate le galassie, all'interno di queste le stelle, attorno a queste i sistemi planetari: tutto il processo è stato, ed è tuttora, governato dalla forza di gravità. Le ultime scoperte astronomiche narrano dell'esistenza di una materia oscura che amplificherebbe tali fenomeni (in particolare la formazione delle galassie), e di un'energia oscura che si opporrebbe alla forza di gravità. Tale energia oscura sarebbe associata alla struttura dello spazio-tempo che è in continua espansione dagli albori dell'universo e che attualmente subirebbe un'espansione addirittura accelerata, un'evoluzione che porterà, in un remoto futuro e se non interverranno altre cause, alla lacerazione della struttura dello spazio e della materia con conseguente morte dell'universo.

La forza di gravità quindi come attrattore, l'energia oscura come dispersore, alla lunga vincerà l'energia oscura e l'universo finirà nel nulla ... oppure no?

Parlando dell'atto creativo di Dio, al posto del classico "fiat lux" che tradizionalmente diede inizio a quella danza che l'universo parrebbe continuare "ex motu proprio", potrebbe essere un attrattore posizionato nell'infinito futuro. La Causa Prima dell'Universo potrebbe essere, in definitiva, una Causa Ultima. Il Padre, attraverso il Figlio, attirerebbe tutti e tutto a sé, nel compimento dei Cieli Nuovi e di una Nuova Terra (pur se emergenti dal caos). Il Figlio muore e, come il seme genera la pianta, così Egli genera la nuova creazione. Allora Gesù Risorto ha le radici in Gesù di Nazaret, proprio come il seme è radice alla pianta; e come la pianta emette nuove radici mentre il seme muore, così Gesù muore per mettere radici in mezzo agli uomini.

La pianta ha lo stesso patrimonio genetico del seme, ma è altra cosa dal seme. Come non si può dire se venga prima il seme o la pianta, in quanto ciascuno si genera reciprocamente dall'altro, così si può affermare del Padre e del Figlio. Gesù di Nazaret, profeta grande in parole ed opere, sperimenta la paternità del Padre dentro e fuori di sé in quanto creatura umana e "vede" il disegno del Padre sulla sua umanità, ma contemporaneamente afferma: "Io e il Padre siamo Uno". Il Padre genera il Figlio "ab aeterno", prima del tempo ... o alla fine dei tempi ("quando il Figlio dell'uomo ritornerà sulla terra"). Con ciò Gesù afferma di essere Dio al pari del Padre, uno con Lui eppure distinto.

venerdì 6 luglio 2012

Dalla terra al cielo e ritorno

Com'è che da alcuni giorni non riesco più a mangiare i biscotti prodotti dalla big factory ed acquistati al supermarket?

La cosa è cominciata dopo che Donata ha cominciato a produrre il pane in casa utilizzando la pasta madre ricavata alla Costigliola a fine giugno, impastandola con la farina da coltivazione biologica e l'acqua di fonte della montagna; il sale è comune sale marino ...

Ultimamente non riesco più a bere neanche le bibite, gasate e non, al 12% di succo, addizionate di acido citrico e altre sostanze. Me le sento pesare sullo stomaco ... mi è venuto un pensiero: non riesco più a digerire la chimica, perché il mio corpo si rifiuta.

Evidentemente, in tutti questi anni di condizionamenti alimentari mi ero abituato a mangiare quello che la pubblicità mi proponeva: mi ricordo quella famosa pasta di grano duro: era un mito! Abbiamo dovuto rinunciare, perché alla scolatura odorava di muffa. E quell'altra famosa pasta alle nocciole? Buona, ma non ho mai capito perché legava la bocca in quel modo!

Alla pizza da asporto ho dovuto rinunciare, se la mangio alla sera non chiudo più occhio fino alle 4 di notte.

Forse ho la gastrite ... ma come me la sono procurata? Non ho mai esagerato con gli alcolici, il caffè l'ho abolito da tempo ... cosa mi sta succedendo?

Forse sto semplicemente invecchiando ... e si sa, i vecchi diventano nostalgici ... così ho finalmente riassaporato il gusto del pane naturale, che mi ha ricordato il forno a legna dietro la casa, in campagna dai nonni, il profumo del pane appena cotto e il fornaio improvvisato che ci chiamava a gran voce: l'è cotto, l'è cotto!

E i tortellini in brodo di gallina ruspante, quelli fatti a mano, ve li ricordate anche voi?

Le ciliege colte dall'albero ... com'erano dolci ... e il profumo dei fichi sull'albero del vicino ... che tentazione ... e l'erba verde, lì si poteva rotolare per terra senza correre alcun pericolo!

Son sicuro che ritorneremo a vivere così, perché noi siamo fatti così, il nostro DNA viene dalla terra e alla terra ritorneremo, dopo aver fatto una breve escursione nei cieli.

Un augurio a tutti noi di tornare a casa!

giovedì 5 luglio 2012

Una particella di Dio?

Avete sentito questa notizia che circola da qualche giorno: "Scoperta la particella di Dio".

L'espressione piace, stuzzica, provoca ed è rimbalzata su tutti i mass-media come una parola d'ordine.

Ma io vi dico: magari avessimo scoperto "la particella di Dio", magari ne avessimo scoperto "una particella, anche infinitesima ... di Dio" ... almeno adesso avremmo qualche certezza in più ... macché, neanche quella!

L'universo c'era prima che noi lo abitassimo e continuerebbe ad esistere anche nell'eventualità che noi scomparissimo dalla faccia della terra (la qual cosa ha una, seppur piccola, probabilità di accadere). E lo stesso potremmo affermare di Dio.

Quello che non troveremo di certo sarà "una particella di intelligenza" in coloro che hanno coniato e diffuso questa espressione.

Cosa sappiamo veramente?

Nulla!

Non sappiamo perché il seme germina, non sappiamo perché l'uovo matura, non sappiamo perché la vita muore, cioè non sappiamo nulla di ciò che ci riguarda più da vicino, del motivo per cui siamo venuti nel mondo e del motivo per cui lo lasceremo, e spesso accade nel momento in cui abbiamo compreso come si fa a vivere bene!

La realtà è complessa, sicuramente più di noi che, pur facendone parte, abbiamo la facoltà di osservarla e studiarla.
 
Abbiamo scoperto "la particella di Dio", cioè noi uomini, col nostro ingegno, col nostro lavoro, abbiamo penetrato i meccanismi che governano il mondo ... che grandi creature siamo ?!?

Prima di arrivare a toccare il cielo sarà bene ricordarci la nostra origine terrestre. E sarà utile scoprire una virtù oggi non più di moda: l'umiltà.

Chissà che noi non si scopra, un giorno, in un futuro non troppo remoto, la nostra vera missione nell'universo: connettere il cielo alla terra?

La televisione

Il dilagare del mezzo di comunicazione televisivo nelle ultime decadi è andato di pari passo con la crisi dei quotidiani, il calo dei lettori di libri e, più in generale, con un calo generalizzato della percentuale di popolazione che produce vera cultura o che la coltiva quale fruitore abituale.

Questo fenomeno è stato giudicato, da vari commentatori, come un segnale negativo.

Se poi guardiamo a come vanno le cose nel mondo dell'economia e della finanza, se analizziamo gli andamenti demografici, se osserviamo la biodiversità naturale attorno a noi, i cambiamenti climatici, la scarsità delle risorse ... dobbiamo ammettere che la lancetta del bilancio sociale dell'umanità è stabilmente puntata nella zona rossa da molti decenni.

E pare non schiodarsi da quella posizione.

La domanda alla quale rispondere oggi è questa: la televisione come mezzo di comunicazione di massa, conformista, poco critico e molto autoreferenziale, infarcito di pubblicità, porta una qualche responsabilità per questo stato di cose?

Noi, in famiglia, abbiamo rinunciato da tempo a guardare la TV, un po' per scelta, un po' perché costretti dalla bassa qualità dell'offerta. Guardiamo solo film in DVD e solo quelli che piacciono a noi.

E quando, a casa di parenti, amici o in locali pubblici, ci capita di rivedere qualche programma TV, ci rendiamo conto di quanto la nostra vita fosse fortemente condizionata dai messaggi trasmessi alle nostre orecchie ed inoculati nel nostro cervello mediante la visione di certi spettacoli.

Non tutto è TV spazzatura, ovviamente, ma il fetore che emana oggi dal mondo dello spettacolo televisivo è talmente alto che ritengo difficile, se non impossibile, mantenere un'autonomia e una serenità di giudizio nei confronti dello stile di vita che ci viene quotidianamente proposto attraverso questo mezzo.

Siamo scandalizzati ... eppur condizionati.

Allora ... se il tuo video ti scandalizza, cavalo!

E se il tuo telecomando ti condiziona, buttalo!

Non pretendiamo di insegnare nulla a nessuno, noi siamo persone qualunque.

Il giudizio sui comportamenti, lo stile di vita adottato, le scelte operate non spetta a noi.

Però di una cosa siamo convinti: di esserci liberati da quella che è diventata una vera e proprio forma di moderna schiavitù (e sulla quale si può trovare una letteratura ed una filmografia inesauribile).

P.S.: per rimanere collegati e comunicare, in maniera certamente più attiva e responsabile, ci sono mezzi più idonei della TV, ad esempio la radio e la rete internet.

martedì 3 luglio 2012

Spaesamento

E' esperienza comune che la visione e l'ascolto del paesaggio influenzino l'umore e condizionino il benessere psicofisico della persona.



Perché altrimenti cercheremmo luoghi ameni per trascorrere le nostre vacanze?

Sono l'agricoltura e le altre attività umane, come l'allevamento, la pesca, il taglio dei boschi, le costruzioni, l'industria, i trasporti, che modellano, nel bene e nel male, il paesaggio naturale, trasformandolo in un paesaggio antropizzato.




Nel bene e nel male, perché un paesaggio antropizzato può risultare gradevole ed armonioso all'occhio, all'orecchio, all'odorato ... o può risultare sgradevole e caotico.



Può infondere sicurezza e senso di appartenenza, oppure incutere timore e senso di estraneità.



Il paesaggio è pertanto fondato sulla percezione che il popolo italiano ha del territorio della Repubblica. E' un bene culturale e come tale va promosso e tutelato secondo la nostra Costituzione:

Art. 9
La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica.
Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione. 

Ecco come il Decreto Legislativo 26 marzo 2008, n. 63 definisce il Paesaggio e il dovere di tutela e valorizzazione del medesimo:

Art. 131 (Paesaggio).
  1. Per paesaggio si intende il territorio espressivo di identità, il cui carattere deriva dall'azione di fattori naturali, umani e dalle loro interrelazioni.
  2. Il presente Codice tutela il paesaggio relativamente a quegli aspetti e caratteri che costituiscono rappresentazione materiale e visibile dell'identità nazionale, in quanto espressione di valori culturali.
  3. Salva la potestà esclusiva dello Stato di tutela del paesaggio quale limite all'esercizio delle attribuzioni delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano sul territorio, le norme del presente Codice definiscono i principi e la disciplina di tutela dei beni paesaggistici.
  4. La tutela del paesaggio, ai fini del presente Codice, è volta a riconoscere, salvaguardare e, ove necessario, recuperare i valori culturali che esso esprime. I soggetti indicati al comma 6, qualora intervengano sul paesaggio, assicurano la conservazione dei suoi aspetti e caratteri peculiari.
  5. La valorizzazione del paesaggio concorre a promuovere lo sviluppo della cultura. A tale fine le amministrazioni pubbliche promuovono e sostengono, per quanto di rispettiva competenza, apposite attività di conoscenza, informazione e formazione, riqualificazione e fruizione del paesaggio nonche', ove possibile, la realizzazione di nuovi valori paesaggistici coerenti ed integrati. La valorizzazione e' attuata nel rispetto delle esigenze della tutela.
  6. Lo Stato, le regioni, gli altri enti pubblici territoriali nonche' tutti i soggetti che, nell'esercizio di pubbliche funzioni, intervengono sul territorio nazionale, informano la loro attività ai principi di uso consapevole del territorio e di salvaguardia delle caratteristiche paesaggistiche e di realizzazione di nuovi valori paesaggistici integrati e coerenti, rispondenti a criteri di qualità e sostenibilità.
Immaginiamo che tutto ciò valga anche per privati cittadini, imprese e multinazionali ...