L’intervista
Parla
Laura, figlia di Adriano: «Sento l’obbligo morale di continuare
sulla strada che ha tracciato mio padre» Il sogno di “Ivrea, città
industriale” nella lista Unesco. Oggi a Volterra riceverà il
premio “Ombra della Sera”
di
GIUSEPPE MATARAZZO
«Abbiamo
portato in tutti i villaggi le nostre armi segrete: i libri, i corsi,
le opere dell’ingegno e dell’arte. Noi crediamo nella virtù
rivoluzionaria della cultura che dona all’uomo il suo vero potere».
Così Adriano Olivetti riassumeva il senso della Fabbrica-Comunità e
l’utopia (possibile) di un’economia che si muovesse verso un fine
ben più alto dello sterile e crudo indice del profitto e aprisse
invece la strada a un cammino di civiltà e di elevazione per tutti.
Nello spirito dell’«umanesimo integrale» professato da Jacques
Maritain che per l’imprenditore di Ivrea fu un fondamentale punto
di riferimento ideologico. «La sfida di mio padre si è giocata su
questo campo: su un radicale cambiamento di mentalità rispetto al
mito del progresso e del profitto a tutti i costi sulla pelle dei
lavoratori. Al contrario, la fabbrica era considerata uno strumento
di crescita del territorio, per migliorare le condizioni di vita di
tutti, con un welfare su misura, servizi, educazione e appunto,
cultura», rilancia Laura Olivetti, figlia di Adriano, oggi alla
guida della Fondazione che porta il suo nome, fondata nel 1962, due
anni dopo la prematura scomparsa dell’imprenditore. «La
fabbrica-comunità era il tentativo di una grande innovazione
culturale, per le imprese, i lavoratori e tutti i soggetti attivi del
territorio. E su questo terreno sento il dovere di continuare a
testimoniare l’esperienza di mio padre». Olivetti è morto quando
Laura aveva appena nove anni. Per lei la famiglia era la «Ditta».
Un tutt’uno. «I miei ricordi arrivano ovviamente fino a un certo
punto. Nel tempo ho ascoltato i racconti di chi è stato sempre
vicino a mio padre; ho letto i carteggi, ho scavato in archivio e
alla fine credo di aver ricostruito pienamente la sua figura. È
stato un esercizio importante per riavvicinarmi a lui e alla mia
famiglia. Prima di occuparmi della fondazione facevo altro, ero una
ricercatrice di psicologia. Fu verso l’inizio degli anni Novanta
che una serie di circostanze fecero scattare in me la sensazione che
occuparmi della Fondazione fosse un obbligo morale. Erano gli anni
dei grandi cambiamenti per l’azienda e avevo paura che la
Fondazione potesse ridursi a una vestale del passato. Ho cercato
allora di rimettere in sesto questa istituzione, per mille ragioni
rimasta silente, e diffondere il valore culturale della storia di
Olivetti. Poi nel luglio del 2003 il nome Olivetti venne fatto
scomparire dallo scenario dell’impresa italiana, così la
Fondazione è oggi di fatto l’unica realtà legata a triplo filo
con quell’esperienza e deputata a valorizzare questi asset
intangibili che si rivolgono al capitale umano».
In
questa direzione va il lavoro divulgativo delle Edizioni di
Comunità (dirette con vera passione dal figlio di Laura,
Beniamino de’ Liguori Carino), con la pubblicazione dei discorsi,
degli scritti e del pensiero di Adriano Olivetti. E poi c’è tutto
il lavoro svolto nei territori, in particolare nei luoghi legati alla
storia di Olivetti, per creare opportunità di crescita sociale: «A
Roma, a Corviale, abbiamo coinvolto negli anni gli abitanti in
operazioni che andavano dagli orti urbani alla creazione di Radio
Cordiale – dice Laura Olivetti –. Abbiamo svolto un grande lavoro
nel carcere di Bollate, con l’apertura di un asilo realizzato con
criteri innovativi, dentro l’istituto, ma aperto al pubblico.
Abbiamo svolto ricerche sullo stato dell’impresa nel canavese e
ricostruito tutta la vicenda di mio padre in Basilicata, a Matera,
che nel 2019 sarà capitale europea della cultura. Qui mio padre,
negli anni Cinquanta portò avanti una delle sue scommesse più alte,
insieme ad altri intellettuali e professionisti: fare della capitale
dell’Italia contadina, nel Mezzogiorno descritto da Carlo Levi in
Cristo si è fermato a Eboli un’altra Ivrea. Adesso stiamo
chiudendo una convenzione con il comune di Pozzuoli, un altro sito
simbolo della storia di Olivetti, per la diffusione del suo pensiero
fra i giovani».
Un
impegno, quello della Fondazione Adriano Olivetti che oggi pomeriggio
sarà premiato con il riconoscimento “Ombra della Sera” per la
cultura su segnalazione della Commissione nazionale italiana per
l’Unesco, nell’ambito del Festival Internazionale del Teatro
Romano di Volterra, insieme ad altre personalità dello spettacolo,
dell’arte e del giornalismo. L’Unesco e la Lista dei siti
Patrimonio dell’Umanità che sognano Olivetti e Ivrea, la cui
candidatura è stata ufficializzata nel 2012 al termine di un lavoro
di ricerca e valorizzazione avviato già nel 2008 con il Comitato
nazionale per le celebrazioni del centenario della Società Olivetti.
«Una traccia lunga quasi un secolo ha legato il nome Olivetti a
Ivrea e al territorio canavesano unendo le vicende dell’impresa
alla storia di questa terra – spiega Laura Olivetti, presentando il
dossier –: “Ivrea, città industriale del XX secolo” pone
all’attenzione dell’Unesco il modello di città industriale,
elaborato a partire dagli anni Trenta da Adriano Olivetti e diventato
poi progetto di comunità alternativo a quello proposto dallo
sviluppo industriale del XX secolo. L’esempio di Ivrea rappresenta
un’opportunità per sollecitare importanti riflessioni sui processi
di innovazione sociale e di governance del territorio».
Di
fronte alla crisi generata da una economia del profitto e della
finanza speculativa e al senso di smarrimento generale che
avvertiamo, la comunità, le fabbriche del bene, la città dell’uomo,
la grande utopia inseguita da Adriano Olivetti sono da qualche anno
un faro per chi sostiene un’economia dal volto umano. Il
riconoscimento Unesco sarebbe la “certificazione” che tutto
questo rappresenta un patrimonio dell’umanità. Ma questo
ovviamente non basta. «Le sue erano idee troppo innovative, e per
questo aveva anche molti nemici che lo osteggiavano fortemente.
Quando è scomparso è stato anche dimenticato. Da qualche anno, con
la crisi che stiamo vivendo, c’è una riscoperta». Se chiediamo a
Laura Olivetti quale degli insegnamenti di suo padre si sente di
indicare come “inizio”, la risposta è un invito a guardarci
dentro, fino in fondo: «Mio padre ha fatto quello che ha fatto,
perché era una persona buona. Veramente buona. Può sembrare una
diminutio, ma è il cuore della sua testimonianza». Adriano
Olivetti era un testimone autentico e per questo oggi le sue idee
sono credibili. Le sue idee partivano da un animo nobile. «Ogni
esempio è irripetibile – continua –: Ivrea è Ivrea. Ma ci sono
altre realtà e imprese in Italia che operano con responsabilità
sociale e una straordinaria attenzione al territorio». Il sogno di
Olivetti può continuare.
(da
Avvenire del 1° agosto 2015)© RIPRODUZIONE RISERVATA