"io decido X Albignasego" è il nome del movimento civico che vuol dare la parola ai cittadini di Albignasego, comune della provincia di Padova ... e non solo!

lunedì 17 giugno 2013

Se Dio chiude una porta è per aprire un portale ...

Una bella analisi di Bruno Amoroso, forse un po' pessimista, ma è bene sapere ...

La crisi finanziaria, la più grande ondata di crimine finanziario organizzato della storia umana, secondo le parole di James K. Galbraith, è stata preparata nel corso di tre decenni durante i quali la globalizzazione ha avuto il tempo di organizzarsi dispiegando tutti i suoi effetti con l’imposizione del “pensiero unico” fino al “potere unico” dell’ultimo decennio. Tra gli economisti, e non solo, è prevalsa la corsa a farsi “consiglieri del principe”, tuttavia, le analisi critiche per comprendere quanto è accaduto non sono mancate: dai contributi premonitori di James K. Galbraith, Lo Stato Predatore, a quelli di Paul Krugman e Joseph E. Stiglitz. In Italia le persone e i movimenti che potevano denunciare e interpretare queste tendenze hanno scelto la via opportunistica dell’”inserimento” e del l’”integrazione”, trasformando il piano di apartheid globale della Globalizzazione in un’opportunità per arricchirsi nel “villaggio globale”, e interpretando i fenomeni reali della “destabilizzazione politica” e “marginalizzazione economica” come “globalizzazione dal basso” e “globalizzazione del welfare”.

I mercati finanziari sono le “fabbriche” che hanno sostituito quelle del fordismo industriale. Questo percorso di “finanziarizzazione” delle economie capitalistiche inizia negli anni ottanta con la modifica della legge bancaria negli Stati uniti, ai tempi di Reagan, poi negli anni novanta con l’introduzione di nuove regole per la finanza che hanno consentito la produzione dei derivati e titoli tossici, con Clinton, il tutto con il consolidarsi di un potere unico finanziario-militare illustrato ampiamente da James K. Galbraith. L’Europa ha seguito per imitazione le stesse politiche con le “direttive europee”, passivamente recepite anche in Italia, che hanno introdotto la banca “universale” e la liberalizzazione dei mercati finanziari. In Italia questo percorso è stato segnato dalla biografia di Mario Draghi. Negli anni ottanta è direttore per l’Italia della Banca mondiale, negli anni novanta diventa direttore generale al Tesoro e privatizza il sistema bancario, introduce il Testo unico del 1993 sulle banche, che recepisce tutte le direttive europee, comprese quelle ben note sui derivati speculativi. Poi lascia la mano per andare a dirigere la Goldman Sachs e contribuire così a mettere a punto la “grande truffa” che esplode nel 2008, truffa di cui non era a conoscenza pur essendo responsabile della sorveglianza in quanto Governatore della Banca d’Italia.

L’euro doveva essere lo scudo, ma la sua gestione è stata affidata a chi ha messo in moto la crisi ed è quindi divenuto la camicia di forza che impedisce agli Stati e alla stessa Ue di reagire e di difendersi. Il ruolo dell’Europa è possibile se negli Stati nazionali si manifestano forze popolari che si facciano carico di riprendere il percorso di “pace” e “cooperazione” che fu alla base dell’idea di Europa nel primo dopo-guerra, e poi fatto deragliare prima dalla “guerra fredda” e successivamente, negli anni novanta, dalla scelta di fare del progetto europeo un piano di “competitività” e di “guerra”. Una ricostruzione dell’Europa a partire dai popoli e dagli Stati deve assumere una forma confederale tra le quattro grandi meso-regioni europee (Paesi nordici, Europea centrale, Europa mediterranea, e Europa occidentale).
 
La spesa pubblica non c’entra con la crisi e invece di guardare al deficit dello Stato e al debito estero si dovrebbe guardare all’occupazione e al deficit della bilancia dei pagamenti, come ho spiegato nel mio libro L’Europa oltre l’euro. La spesa pubblica aumenta in situazioni di crisi in ragione degli stabilizzatori automatici che hanno il compito di evitare forti conseguenze sociali, ed è per questo che Keynes raccomandava al governo: “Occupatevi dell’occupazione e questa si prenderà cura del bilancio dello Stato”. Chi vuole gli stabilizzatori sociali, cioè il welfare, non intende risolvere la crisi, ma scaricarne i costi in modo irresponsabile sui cittadini più deboli e i lavoratori, cioè sul 99 per cento delle persone.

Significa che l’Europa deve ripensarsi e ritrovare il suo spirito di pace e di cooperazione con le nuove aree mondiali emergenti, lasciandosi alle spalle i vecchi mercati ricchi dell’Occidente. Insistere sul modello della guerra e della competitività significa condannarsi al suicidio e alla marginalità sia verso l’Occidente che verso l’Oriente. La cooperazione con le nuove aree in crescita non si ottiene con la competitività, ma con rapporti diretti e di cooperazione tra Stati, cioè sullo scambio reale di capacità e di beni e con la messa in comune delle risorse disponibili.

La classe dirigente politica e imprenditoriale che abbiamo è quella che è sopravvissuta alla guerra condotta contro il sistema italiano dagli anni cinquanta in poi dagli Stati uniti, Francia e Germania, e che continua oggi. Questa guerra è stata condotta prima con l’eliminazione fisica di personaggi scomodi come Mattei ed Olivetti, poi con la distruzione del sistema politico italiano negli anni novanta e prosegue ancora oggi. La corruzione attuale è la conseguenza di questi sviluppi e di come, attraverso i fiumi di denaro riversati sui politici e sulle istituzioni, se ne è ottenuto il silenzio e la collusione. La reazione popolare degli ultimi anni, espressa dalle ultime elezioni, dimostra che il limite della sopportazione è stato raggiunto e dimostra pure il fallimento di questi piani di destabilizzazione politica e di marginalizzazione economica del paese.

A chi avanzava riserve critiche sulle forme dell’integrazione europea si rispondeva che queste volevano far “sprofondare” l’Italia nel Mediterraneo. Ebbene, è proprio l’adesione acritica alle strategie della Globalizzazione e dell’Ue che sta facendo sprofondare l’Italia nel “sottosviluppo”. Ma l’Italia è un paese forte e le reazioni sociali e politiche che si annunciano lo dimostrano. Il successo di questa resistenza è anche la sola speranza offerta ai nostri giovani.

Questa crisi si fermerà quando i 4/5 della popolazione saranno ridotti in condizioni di povertà e marginalizzazione. Un percorso avviato, ma che richiede tempo. La “ripresa” sarà una stabilizzazione e istituzionalizzazione della povertà e della dipendenza politica del paese dai centri finanziari. Che questo possa avvenire in forma “pacifica” è da dimostrare. La vera ripresa ci può essere solo se il 99 per cento degli esclusi riprende il controllo del potere politico ed economico. Le forme in cui questo avverrà non saranno indolori per le vecchie classi dirigenti e per questo si oppongono con tutti gli strumenti a disposizione. La forza obiettiva di questo cambiamento dipende dal fatto che l’alternativa a una vera ripresa è lo scenario dell’implosione dell’Europa sul modello iugoslavo. La preferenza per una soluzione, anche europea, negoziata e con un cambio di indirizzo dovrebbe apparire ovvia e di buon senso, oltre che più giusta. Raramente l’equità e la giustizia prevalgono sugli interessi costituiti, ma noi speriamo e crediamo che questa sia una di quelle rare volte ...

Contenuti liberamente estratti dall'intervista a Bruno Amoroso a cura della rivista AltreStorie: L’uscita dal capitalismo

lunedì 10 giugno 2013

GAT: Gruppi di Acquisto Terreni

“Invece di avere soldi in banca, puoi diventare proprietario, insieme a noi, di un’azienda agricola nella Maremma Toscana e dare il tuo contributo a cambiare il mondo: metodi di produzione naturali per preservare l’ambiente e la qualità dei prodotti”.

E’ la filosofia che sta alla base di Gat Toscana, Gruppo d’Acquisto Terreni (Scansano, Gr), che mettono insieme, attraverso l’acquisto di quote di una società agricola a responsabilità limitata, agricoltori e in genere persone che hanno voglia o necessità di investire sulla terra. Attualmente i terreni acquistati si estendono su una superficie di 67 ettari (ogni socio investe circa 11 mila euro), ma è in fase di acquisto un altro terreno di 105 ettari.

L’acquisto condiviso di una tenuta agricola a scopo di investimento da parte di piccoli investitori ha obiettivi economici (difesa del valore dell’investimento, incremento patrimoniale, ricavo di un eventuale reddito dalla produzione agricola) e obiettivi etici (gestione etica ed ecologica, condivisione di valori e visione, avvicinamento dell’agricoltura ad una platea cittadina, disintermediazione tra produttore e consumatore, vendita di prodotti biologici e sostegno di un’agricoltura eco-compatibile).

 “Le aziende agricole che abbiamo costituito – spiegano i responsabili di Gat – sono coltivate con metodi biologici e gestite a filiera corta. Puntiamo a una nuova alleanza tra produttori e consumatori, in modo che i consumatori non siano l’ultimo anello della catena distributiva, ma diventino co-produttori. Tutti i soci investono la stessa somma. Sono necessari tra 50 e 100 soci per la costituzione di un nuovo Gat”.

Tratto da http://www.tsdtv.it/blog/2013/05/14/a-terra-futura-arrivano-i-gat-gruppi-di-acquisto-terreni/

Election week per i cittadini di Capannori (LU)

Oggi a Capannori, provincia di Lucca, iniziano le votazioni ...

Eh no, vi sbagliate, direte voi, oggi si chiudono le votazioni, alle 15:00 e poi inizia lo scrutinio delle schede ... 

Eh, no, no, non stiamo parlando di elezioni amministrative, quelle che si tengono, di regola, ogni 5 anni, stiamo parlando dell'election week, la settimana durante la quale potranno votare tutti i cittadini residenti nel Comune di Capannori, italiani e stranieri, compresi i minorenni che compiranno il 16° anno di età entro il 16 giugno 2013 (ultimo giorno di votazione).

Per cosa sono chiamati a votare i cittadini di Capannori?

Ciascun elettore potrà esprimere un solo voto per uno degli 11 progetti elaborati dai 90 cittadini che hanno preso parte alla seconda edizione di Dire Fare Partecipare, il bilancio socio partecipativo del Comune di Capannori.
Progetti per i quali il Comune ha messo a disposizione 500 mila euro.
Si tratta di un percorso di democrazia diretta portato avanti dall’amministrazione Del Ghingaro, culminato con la presentazione delle proposte progettuali alla cittadinanza durante un incontro pubblico che si è tenuto venerdì 7 giugno.
Si potrà votare sia recandosi ai seggi allestiti nella sede comunale e nelle sedi delle ex circoscrizioni, sia attraverso internet.

Per maggiori informazioni, continuate a leggere qui:

http://www.comune.capannori.lu.it/node/13236

martedì 4 giugno 2013

Ascoltare il corpo, ciò che ricorda e insegna

Il limite e la potenza

Per ricreare lavoro e sviluppo dobbiamo trovare un nuovo rapporto con il corpo. Con quello reale però, non con quelli immaginari e immaginati, nostri e degli altri, che esaltiamo, aduliamo, idolatriamo, consumiamo e auto-consumiamo come merci finché giovani e fiorenti, e che poi rifiutiamo, in noi e negli altri, quando si ammalano, appassiscono, invecchiano. Il tema del corpo, in particolare della sua eclissi, è fondamentale per comprendere anche alcune dinamiche decisive nel mondo della grande impresa e della grande finanza. Le istituzioni, economiche e di ogni tipo, possono diventare disumane quando perdono di vista l’essere umano concreto, quindi corporeo.
La cultura contadina e quella della fabbrica sono state culture dure ma umane, anche perché erano basate su incontri, e scontri, tra esseri umani in carne ed ossa.
Quando i lavoratori, i clienti e i fornitori, e magari i colleghi, diventano invece realtà astratte e lontane, e così chi decide su di loro non li incontra e non li vede (se non, magari, in teleconferenza), accade che le persone inesorabilmente diventino soltanto numeri, algoritmi, costi.

Perdono il corpo, e quindi non sono più veramente persone.

Quando dell’altro non vedo il volto, il colore delle guance, il luccichio degli occhi, non sento il suo odore; quando non gli stringo la mano e sento se è sudata o tremula, diventa impossibile fare scelte giuste e buone che riguardano quelle persone. Si tagliano così 'teste', perché non sono teste di persone vere, ma quelle di pupazzi, di icone sul computer, di risorse umane. Ma quando non si vede nell’altro il suo corpo non si vede nulla di veramente umano, perché dire essere umano è dire corpo.

L’umile corpo dice meglio e più di trattati di teologia o di filosofia, la ricca ambivalenza della condizione umana: qualcosa fragile come l’erba del campo, ma fatto «poco meno degli angeli» (salmo 8). Il corpo è quello aurorale del Cantico ma anche quello declinante del Qoèlet: solo insieme capiamo cosa sia veramente il corpo e la relazione umana. Al tramonto, anche quello del corpo, si vedono orizzonti invisibili all’aurora. È la consapevolezza carnale di questa nostra ambivalenza che ci impedisce di sentirci angeli senza corpo e quindi immortali, o solo erba da calpestare. Prendere sul serio il corpo significa dare dignità a tutti i suoi sensi, perché soltanto gli incontri che li attivano tutti e cinque sono incontri veramente e pienamente umani. Compreso il senso del gusto: è ben noto che le comunità umane - dalla famiglia alle comunità religiose alle imprese - entrano in crisi quando non mangiano più assieme. Far mangiare nella stessa tavola Don Abbondio e Agnese, manager e operai, è operazione tra le più difficili e rare.

È il corpo che dice il limite nostro e degli altri, quindi la vera alterità e reciprocità. Chi non ha fatto la (triste) esperienza di scrivere e inviare, in preda a una crisi di permalosità, email o sms che contenevano parole e 'toni' che non avremmo detto, o avremmo detto diversamente e meglio, se avessimo avuto di fronte l’altro in carne ed ossa? Espressioni come 'ti voglio bene' o 'lasciami in pace' dicono realtà molto diverse se scritte pigiando su una tastiera, o pronunciate guardando l’altro negli occhi, o, nel primo caso, prendendogli la mano. Non saremo capaci di un nuovo welfare, tantomeno economicamente sostenibile, e quindi di un nuovo patto sociale per la cura e per la sanità, se non troveremo una nuova amicizia con il corpo in tutte le sue stagioni, con i suoi limiti. Un malato davvero incurabile è chi non accetta l’invecchiamento, il decadimento e la morte, cioè la legge del corpo e il suo tipico linguaggio. Non ci si salva veramente dalle malattie amputando corpi ancora sani, ma accogliendo, facendo entrare dentro la nostra casa, abitando, la realtà del limite, e quindi della sofferenza, della vulnerabilità, della ferita (vulnus), e della morte, che solo così può diventare «sorella nostra morte corporale».

La prima e più profonda conoscenza del mondo passa per il corpo, e non solo per i bambini.

Conosciamo le cose toccandole, imponendo su di loro le mani. Il lavoro è in crisi perché è in crisi il corpo vero, le sue mani e la sua tipica conoscenza feconda. Non ho mai conosciuto un intellettuale generativo di vita, che prima di scrivere parole non le concepisse (concetti) nel travaglio.

La nostra civiltà non sarà mai una civiltà capace di fedeltà finché non si riconcilierà con il corpo in tutte le sue stagioni. Ogni patto, a partire dal matrimonio, è un sì detto anche a un corpo, alle sue benedizioni e alle sue ferite: è sempre una fedeltà incarnata.

Come ogni vera riconciliazione ha bisogno di lunghi abbracci e di pianti comuni: non bastano telefonate, email, skype, lettere di scuse degli avvocati. «E piansero insieme», ci dice il libro della Genesi a commento della riconciliazione tra Giacobbe e suo fratello Esaù, dopo lunghe lotte, ferite e inganni.

Ogni cultura che è stata capace di risorgere ha saputo prima riconciliarsi con il limite e con la morte, perché ogni vera resurrezione porta in sé le stigmate delle ferite.

Dobbiamo riconciliarci con il corpo, se vogliamo riapprendere l’arte delle relazioni incarnate, le sole vere, un’arte che oggi ha pochi allievi anche perché rarissimi sono i maestri. E così assistiamo a un crescente analfabetismo relazionale, che sovente è direttamente proporzionale al ruolo occupato nella gerarchia aziendale e organizzativa. Sono le donne, in modo speciale e unico le madri, le sapienti del corpo, del suo limite e nella sua potenza vitale straordinaria. Come lo sono gli infermieri e le infermiere, che i malati li conoscono perché - e quando - li toccano. «La prima cura è il medico», mi disse un dottore quando venne a casa per curarmi e i sintomi sparirono non appena iniziò a visitarmi. Nei consigli di amministrazione degli ospedali vorrei vedere le infermiere, le suore e i carismi che hanno occhi capaci di vedere la benedizione oltre la ferita del corpo, posti oggi occupati da persone, lautamente remunerate, che in troppi casi i malati veri non li vedono, né tantomeno li toccano. Rimettiamoci allora all’ascolto del corpo, di tutto il corpo e di tutti i corpi: hanno ancora tante cose da raccontarci.

Molte dimenticate, alcune bellissime. Tutte essenziali per la qualità della nostra vita.

Luigino Bruni

da Avvenire del 2 giugno 2013 © riproduzione riservata

sabato 1 giugno 2013

Se il Pianeta spreca il Cibo

Liberamente adattato dall'articolo:

“SE IL PIANETA SPRECA IL CIBO”

di CARLO PETRINI E ACHIM STEINER

da "La Repubblica" del 25 maggio 2013

Ventimila persone. Se ieri si fosse verificato un qualche tipo di disastro, come un terremoto o un’alluvione, che avesse causato la morte di 20mila persone, oggi ne parlerebbero tutti i giornali, tutte le tv; ne parleremmo tutti noi.
Ieri sono morte più di 20mila persone. Di fame. E oggi non ne parla nessuno.
Sempre ieri, con il cibo che l’Europa ha sprecato in 24 ore, si sarebbero sfamate 200mila persone. Parte della terra e delle risorse e delle energie con cui abbiamo prodotto il cibo che abbiamo mangiato appartengono a quelle persone. Così come appartengono a loro terra energie e risorse utilizzate per produrre il cibo che ieri abbiamo sprecato.
Il nostro cibo viene sprecato ad ogni passaggio e ad ogni fase della sua produzione. Ogni volta un po’. E per ragioni diverse avviene in tutto il mondo, anche nel mondo povero. La “geografia” dello spreco vede, nelle diverse aree del pianeta, picchi in fasi diverse della filiera, ma il risultato non cambia: un terzo del cibo che globalmente viene prodotto non nutre nessuno.
E un cibo che non nutre nessuno non è solo inutile, è anche dannoso. Ed è la dimostrazione che il sistema “moderno”, “razionale” di produrre e distribuire cibo è un sistema basato sullo sperpero dei beni comuni a vantaggio di profitti privati.
Il cibo che non nutrirà nessuno ha usato risorse naturali, ha usato tempo, ha usato energia, ha usato acqua, sole, salute pubblica, cultura, creatività, ricerca. E per qualche perversa ragione si è creata una situazione per cui buttare tutto questo nella spazzatura a qualcuno conviene.
Ovvero: a qualcuno conviene che muoiano ogni giorno 20mila persone, che una persona su 7 ogni sera vada a dormire avendo fame; a qualcuno conviene produrre in modo incosciente per poi vendere in modo insensato; e a qualcun altro ancora conviene portare tutto in discarica in modo sconsiderato, rapinando ancora risorse, energia e tempo; a nessuno conviene acquistare in modo sconsiderato per poi buttare in modo sconsiderato, ma a qualcuno … piace, oppure lo trova normale, o inevitabile, o un segnale di benessere. Quando si parla di spreco al consumo, non si parla solo delle famiglie, dei privati. Si parla degli hotel, dei ristoranti, delle mense scolastiche, della grande distribuzione, di tutte quelle situazioni in cui il consumo è sconnesso dalle relazioni.
Relazioni tra chi consuma e relazioni tra chi consuma, chi produce, chi trasforma, chi vende, chi comunica. Quando queste relazioni esistono si parla di Comunità del Cibo. E le comunità non sprecano il cibo, lo consumano con modalità conviviali.

27/05/2013 - Think.Eat.Save: Reduce Your Footprint) - in prima fila con UNEP e Slow Food per combattere lo spreco di cibo