Una bella analisi di Bruno Amoroso, forse un po' pessimista, ma è bene sapere ...
La crisi finanziaria, la più grande ondata di crimine finanziario
organizzato della storia umana, secondo le parole di James K. Galbraith,
è stata preparata nel corso di tre decenni durante i quali la
globalizzazione ha avuto il tempo di organizzarsi dispiegando tutti i
suoi effetti con l’imposizione del “pensiero unico” fino al “potere
unico” dell’ultimo decennio. Tra gli economisti, e non solo, è prevalsa
la corsa a farsi “consiglieri del principe”, tuttavia, le
analisi critiche per comprendere quanto è accaduto non sono mancate: dai
contributi premonitori di James K. Galbraith, Lo Stato Predatore, a
quelli di Paul Krugman e Joseph E. Stiglitz. In Italia le persone e i
movimenti che potevano denunciare e interpretare queste tendenze hanno
scelto la via opportunistica dell’”inserimento” e del l’”integrazione”,
trasformando il piano di apartheid globale della Globalizzazione
in un’opportunità per arricchirsi nel “villaggio globale”, e
interpretando i fenomeni reali della “destabilizzazione politica” e
“marginalizzazione economica” come “globalizzazione dal basso” e
“globalizzazione del welfare”.
I mercati finanziari sono le “fabbriche” che hanno sostituito quelle del
fordismo industriale. Questo
percorso di “finanziarizzazione” delle economie capitalistiche inizia
negli anni ottanta con la modifica della legge bancaria negli Stati
uniti, ai tempi di Reagan, poi negli anni novanta con l’introduzione di
nuove regole per la finanza che hanno consentito la produzione dei
derivati e titoli tossici, con Clinton, il tutto con il consolidarsi di
un potere unico finanziario-militare illustrato ampiamente da James K.
Galbraith. L’Europa ha seguito per imitazione le stesse politiche con le
“direttive europee”, passivamente recepite anche in Italia, che hanno
introdotto la banca “universale” e la liberalizzazione dei mercati
finanziari. In Italia questo percorso è stato segnato dalla biografia di
Mario Draghi. Negli anni ottanta è direttore
per l’Italia della Banca mondiale, negli anni novanta diventa direttore
generale al Tesoro e privatizza il sistema bancario, introduce il Testo
unico del 1993 sulle banche, che recepisce tutte le direttive europee,
comprese quelle ben note sui derivati speculativi. Poi lascia la mano
per andare a dirigere la Goldman Sachs e contribuire così a mettere a
punto la “grande truffa” che esplode nel 2008, truffa di cui non era a conoscenza pur essendo responsabile della sorveglianza in quanto Governatore della
Banca d’Italia.
L’euro doveva essere lo scudo, ma la sua gestione è stata affidata a
chi ha messo in moto la crisi ed è quindi divenuto la camicia di forza che impedisce
agli Stati e alla stessa Ue di reagire e di difendersi. Il ruolo
dell’Europa è possibile se negli Stati nazionali si manifestano forze
popolari che si facciano carico di riprendere il percorso di “pace” e
“cooperazione” che fu alla base dell’idea di Europa nel primo
dopo-guerra, e poi fatto deragliare prima dalla “guerra fredda” e
successivamente, negli anni novanta, dalla scelta di fare del progetto
europeo un piano di “competitività” e di “guerra”. Una ricostruzione
dell’Europa a partire dai popoli e dagli Stati deve assumere una forma
confederale tra le quattro grandi meso-regioni europee (Paesi nordici,
Europea centrale, Europa mediterranea, e Europa occidentale).
La spesa pubblica non c’entra con la crisi e invece di guardare al
deficit dello Stato e al debito estero si dovrebbe guardare
all’occupazione e al deficit della bilancia dei pagamenti, come ho
spiegato nel mio libro L’Europa oltre l’euro. La spesa pubblica
aumenta in situazioni di crisi in ragione degli stabilizzatori
automatici che hanno il compito di evitare forti conseguenze sociali, ed
è per questo che Keynes raccomandava al governo: “Occupatevi dell’occupazione e questa si prenderà cura del bilancio dello Stato”. Chi vuole
gli stabilizzatori sociali, cioè il welfare, non intende risolvere la
crisi, ma scaricarne i costi in modo irresponsabile sui cittadini più
deboli e i lavoratori, cioè sul 99 per cento delle persone.
Significa che l’Europa deve ripensarsi e ritrovare il suo spirito di
pace e di cooperazione con le nuove aree mondiali emergenti, lasciandosi
alle spalle i vecchi mercati ricchi dell’Occidente. Insistere sul
modello della guerra e della competitività significa condannarsi al
suicidio e alla marginalità sia verso l’Occidente che verso l’Oriente.
La cooperazione con le nuove aree in crescita non si ottiene con la
competitività, ma con rapporti diretti e di cooperazione tra Stati, cioè
sullo scambio reale di capacità e di beni e con la messa in comune delle
risorse disponibili.
La classe dirigente politica e imprenditoriale che abbiamo è quella che è
sopravvissuta alla guerra condotta contro il sistema italiano dagli
anni cinquanta in poi dagli Stati uniti, Francia e Germania, e che
continua oggi. Questa guerra è stata condotta prima con
l’eliminazione fisica di personaggi scomodi come Mattei ed Olivetti, poi
con la distruzione del sistema politico italiano negli anni novanta e
prosegue ancora oggi. La corruzione attuale è la conseguenza di questi sviluppi e di
come, attraverso i fiumi di denaro riversati sui politici e sulle
istituzioni, se ne è ottenuto il silenzio e la collusione. La reazione popolare degli ultimi anni, espressa dalle ultime elezioni, dimostra che il limite della
sopportazione è stato raggiunto e dimostra pure il fallimento di questi piani
di destabilizzazione politica e di marginalizzazione economica del
paese.
A chi avanzava riserve critiche sulle forme dell’integrazione europea si
rispondeva che queste volevano far “sprofondare” l’Italia nel
Mediterraneo. Ebbene, è proprio l’adesione acritica alle strategie della
Globalizzazione e dell’Ue che sta facendo sprofondare l’Italia nel
“sottosviluppo”. Ma l’Italia è un paese forte e le reazioni sociali e
politiche che si annunciano lo dimostrano. Il successo di questa resistenza è anche la sola speranza offerta ai nostri giovani.
Questa crisi si fermerà quando i 4/5 della popolazione saranno
ridotti in condizioni di povertà e marginalizzazione. Un percorso
avviato, ma che richiede tempo. La “ripresa” sarà una stabilizzazione e
istituzionalizzazione della povertà e della dipendenza politica del
paese dai centri finanziari. Che questo possa avvenire in forma
“pacifica” è da dimostrare. La vera ripresa ci può essere solo se il 99
per cento degli esclusi riprende il controllo del potere
politico ed economico. Le forme in cui questo avverrà non
saranno indolori per le vecchie classi dirigenti e per questo si
oppongono con tutti gli strumenti a disposizione. La forza obiettiva di
questo cambiamento dipende dal fatto che l’alternativa a una vera
ripresa è lo scenario dell’implosione dell’Europa sul modello iugoslavo. La preferenza per una soluzione, anche europea,
negoziata e con un cambio di indirizzo dovrebbe apparire ovvia e di buon
senso, oltre che più giusta. Raramente l’equità e la giustizia
prevalgono sugli interessi costituiti, ma noi speriamo e crediamo che questa sia una di quelle rare volte ...
Contenuti liberamente estratti dall'intervista a Bruno Amoroso a cura della rivista AltreStorie: L’uscita dal capitalismo
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