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sabato 24 maggio 2014

Economia: promessa e bestemmia

La Lumsa di Roma è la prima università ad adottare la “promessa di Genovesi” come impegno ufficiale dei laureati in Economia a considerare il mercato non come una lotta e il lavoratore sempre come persona.

Il senso di un giuramento che dissacra i nuovi idoli
di Carlo Cefaloni

Con la conferenza stampa del 20 maggio 2014 presso la sede dell’università collocata nello storico Borgo Pio di Roma, il rettore Giuseppe Della Torre del Tempio di Sanguinetto e il professor Luigino Bruni hanno annunciato, dalla prossima sessione, l’introduzione della “promessa di Genovesi” per gli studenti in discipline economiche che termineranno il percorso di laurea nella Lumsa, la realtà accademica fondata nel 1939 e ora avviata a diventare un punto di riferimento per la riscoperta e la promozione dell’economia civile a livello mondiale.
Lo testimonia la contemporanea conferenza interdisciplinare su teologia ed economia che ha visto, in una serie di seminari diffusi nelle aule delle facoltà, esperti a livello internazionale discutere su un tema centrale: le radici di quella logica prevalente del pensiero economico che sta influenzando ogni aspetto dell’esistenza. La riflessione assume un’attualità stringente nel momento in cui appare avverarsi la profezia del 1921 di Walter Benjamin ne “Il Capitalismo come religione”: «nel capitalismo bisogna scorgervi una religione, perché nella sua essenza esso serve a soddisfare quelle medesime preoccupazioni, quei tormenti, quelle inquietudini, cui in passato davano risposta le cosiddette religioni. In Occidente, il capitalismo si è sviluppato parassitariamente sul cristianesimo».
Che peso può avere un giuramento per abbattere la nuova «idolatria del denaro»? Non sarà ogni promessa diversa dalla ricerca ossessiva del profitto, una bestemmia intollerabile nel sistema che ha escluso dalla percezione il volto e la “ferita dell’altro”? Non è stato occasione di martirio per i primi cristiani il mancato giuramento all’imperatore come “dio”?
Sul presupposto antropologico della “promessa di Genovesi”, che prende il nome dal campano Antonio Genovesi, padre di quell’economia civile che presuppone la felicità pubblica (non individuale) come fondamento dell’agire umano e quindi economico, abbiamo già ospitato un dibattito su citta-nuova.it a partire dalla proposta lanciata da Bruni sulle pagine del quotidiano Avvenire. Significativo, in tal senso, il consenso sull’introduzione di questo patto solenne più da parte laica (come testimonia l’intervista al professor Lorenzo Sacconi di Trento) che cattolica (una critica esplicita è stata avanzata dal professor Mario Maggioni di Milano sullo stesso Avvenire).

Vita, morte e obbedienza

Alla radice, il gesto pubblico richiesto ai laureati in Economia, che li accosta ai medici che giurano, da Ippocrate in poi, di astenersi «dal recar danno e offesa». Difficile non osservare il “danno” alla vita di milioni di persone e all’intero sistema provocato da tesi come quella iperliberista della “scuola di Chicago” prese come manuale da applicare sulla carne viva di intere comunità.
Questa «economia uccide» ha affermato papa Bergoglio nell’Evangelii gaudium con parole che è impossibile addomesticare, ma solo omettere. Il giuramento, infatti, nella sua essenza, rimanda alla vita e alla morte propria e altrui. Nella formula sacrale imposta ai carabinieri reali della dinastia sabauda il singolo, alla presenza del sindaco dal sottufficiale comandante, che aveva la sciabola sguainata, pubblicamente affermava di «essere fedele a Dio, ed alla Maestà del Re nostro Signore, e di lui successori legittimi: di servirla con onore e lealtà: di sacrificare anche i miei beni e la mia vita per la difesa della sua Real Persona, e pel sostegno della sua Corona e della piena sua autorità sovrana, anche contro i suoi sudditi, che tentassero di sovvertire l'ordine del Governo». Un tipo di obbedienza che re Umberto II dovette sciogliere solennemente prima di partire in esilio dopo il referendum vittorioso della Repubblica. E tuttavia un numero non trascurabile di militi si congedarono dall’Arma per non contravvenire a quella promessa che rimanda ai riti ancestrali depositati nel nostra cultura.
Proporre questa promessa che impegna a guardare «al mercato come un insieme di opportunità per crescere insieme, e non ad una lotta» e non trattare i lavoratori come costo, capitale o risorsa, ma sempre «prima di tutto persone» rappresenta una sfida epocale al tempo della crisi e della precarietà esistenziale e valoriale che il capitalismo “tecno nichilista”, per usare la definizione del sociologo Magatti, ha prodotto all’interno delle stesse categorie di pensiero.

Una scelta drammatica

Una chiave adeguata di lettura, integralmente laica, della “promessa di Genovesi” si può cogliere nel lavoro che Luigino Bruni sta conducendo sulla lettura sapienziale del testo del “patto” e “promessa” per definizione. Come ha scritto su Avvenire, «la Parola biblica ha molte parole di vita da dire alla nostra economia, e quindi alla nostra vita. E può dirci cose che non ha ancora detto, perché da troppo tempo nessuno le ha più chiesto di parlare, di parlarci». La pretesa è molto elevata perché «se è vero che la lettura della Bibbia può arricchire l’economia, è altrettanto vero che nuove domande "economiche" possono far dire a quei testi cose che non hanno ancora detto». Questo nostro tempo aperto alla scelta drammatica tra fraternità e fratricidio è il momento adatto per comprendere, attraverso «la storia degli uomini, significati sempre nuovi delle scritture» per tutti.

(da Città Nuova online del 22 maggio 2014)

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