"io decido X Albignasego" è il nome del movimento civico che vuol dare la parola ai cittadini di Albignasego, comune della provincia di Padova ... e non solo!

lunedì 19 dicembre 2016

Il Fine della Fine (non di quest'anno)

Qualche tempo fa ho compreso una realtà che è della Fisica e dello Spirito insieme.
I mondi materiale e spirituale esistono perché da un Centro si irradiano all'Infinito co-creando lo spazio - per dilatazione - e il tempo - per durata.
Da questo principio fondamentale derivano, al livello fisico, le leggi della meccanica e della termodinamica, come la conservazione dell'impulso, della massa-energia e l'aumento dell'entropia.
In particolare si comprende chiaramente come in un mondo in continua espansione da un Centro verso l'Infinito, il Caos debba necessariamente aumentare di pari passo con la dispersione delle masse, delle forze, dei potenziali dall'iniziale Centro verso l'infinito Orizzonte.
Nel passato remoto dell'Universo è collocato un punto di concentrazione infinita, mentre nel futuro remoto dell'Universo è collocato un orizzonte di dispersione infinita.
Questo è quello che suggeriscono al nostro spirito le più recenti scoperte della Fisica.
Si rende necessario ipotizzare, e qualche cosmologo lo sta già facendo, un momento ed uno spazio di ricapitolazione, che riporti l'infinita dispersione alla concentrazione in Uno.
Perché dico necessario?
Perché siccome è impossibile giustificare l'origine del Cosmo da un inizio temporalmente e spazialmente puntiforme, cioè NULLO, dal NULLA non può nascere NULLA (nonostante fior di filosofi e scienziati siano tentati dal pensiero), siamo costretti a ricorrere ad un'ipotesi che può apparire, di primo acchito, ASSURDA.
L'Origine dell'Universo, della Vita materiale e spirituale sta alla Fine dei Tempi.
E' come se Tutto, materia e spirito, fosse attratto verso un vortice finale, con un completo ribaltamento della struttura spazio-temporale, dove l'infinito viene ridotto ad un punto e l'eternità ad un istante con un'inversione della legge di causa-effetto, dove le cause stanno nel futuro degli effetti.
Noi inferiamo che la causa ha prodotto un effetto per il semplice fatto che ricordiamo il passato e ignoriamo il futuro, per cui possiamo solo prevedere gli eventi futuri (indicandoli come effetti) dall'esame degli eventi certi del passato (indicandoli come cause).
Questo non significa che gli eventi passati siano la causa effettiva degli eventi futuri.
Siamo noi, esseri coscienti, che riflettiamo e deduciamo un principio di causa-effetto direzionato dal passato al futuro.
Ma quello che noi, esseri spirituali, decidiamo in piena libertà, non è determinato dagli eventi passati (quelli semmai determinano la nostra personalità, le nostre inclinazioni), ma è determinato dal fine che ci siamo proposti, dall'obiettivo che vogliamo raggiungere.
E questo fine, riflettiamo bene, è collocato nel nostro futuro, per quanto ipotetico ed incerto possa essere.
Per una strana coincidenza, di quelle che aiutano a riflettere, nella nostra lingua si utilizza la stessa parola FINE per indicare due cose apparentemente diverse e slegate: LA FINE di tutte le cose e IL FINE di tutte le cose.
E per un'altra stranissima coincidenza, una parola di genere maschile e una di genere femminile.
Questa mattina ho voluto giocare un po' con le parole e la fantasia ... ma non troppo ... a volte le parole significano molto di più di ciò che risulta ad un orecchio disattento ed un'anima distratta da mille cose.
Spero di non avervi annoiato ...

martedì 6 dicembre 2016

La Petizione per la ex C&C rimane aperta

La petizione che abbiamo presentato tre anni fa è stata ridiscussa ieri a Bruxelles, in Commissione Petizioni, con esito positivo. La Commissione ha dato ragione ai cittadini e manterrà aperto il procedimento. I rappresentanti dell’Associazione LaVespa e del Comitato SOS C&C con una presentazione convincente hanno esposto i motivi per i quali il problema del sito di Pernumia merita nuovi approfondimenti, non solo per cercare altri fondi, ma perfino per smuovere i finanziamenti, peraltro non risolutivi, ancora fermi nelle casse regionali da diversi anni. La funzionaria della Commissione europea che ha coordinato l’inchiesta ha ringraziato i cittadini per queste nuove informazioni, che gettano una nuova luce sulla vicenda. Tra gli eurodeputati italiani erano presenti solo Eleonora Evi e Marco Zullo (M5S), che hanno fatto due precise richieste: di coinvolgere anche la Commissione Ambiente e Sicurezza Alimentare (ENVI) nella vicenda e di inviare le prossime lettere non più solo alla Regione Veneto, ma anche al Sindaco di Pernumia. Infatti, da una richiesta di accesso agli atti avanzata dal consigliere regionale Andrea Zanoni (PD) lo scorso luglio riguardante il milione e mezzo, risulta che il Comune di Pernumia non ha ancora avanzato nessuna richiesta di utilizzo di quei fondi. Il sindaco peraltro, forse in previsione del nostro appuntamento a Bruxelles, alcune settimane fa aveva annunciato un nuovo bando di gara, ma non c’è ancora niente di formale e di certo.
Il mantenimento della petizione aperta è un grande successo che permette ai cittadini di essere aiutati nell’azione di sprone alle istituzioni italiane.
Per altre informazioni guardate il nostro sito www.comitatososcec.altervista.org

Comitato SOS C&C e Associazione LaVespa

domenica 4 dicembre 2016

Il mistero del Tempo - 2

Proviamo ad immaginare il flusso temporale come lo scorrere di un fiume, noi siamo dentro questo flusso, totalmente immersi, e senza neanche rendercene conto viviamo la vita come una sequenza di momenti.
Possiamo elevarci col pensiero al di sopra di questo flusso del tempo che trascina con sé tutte le cose?
Immaginiamo di salire sopra un ponte, rivolti verso la direzione da cui proviene il flusso, vedremo scorrere sotto di noi i momenti presenti, che dal futuro, dove sta la sorgente del tempo, trasportano gli eventi (e con essi tutte le cose apparenti) verso di noi, incessantemente.
Tutto passa ... sotto il ponte presente e se ci voltiamo nella direzione della corrente, osserviamo gli eventi, e le cose appena passate, allontanarsi e farsi sempre più indistinti nella memoria.
Le registrazioni degli eventi passati ci sono estremamente utili per fare "previsioni" su ciò che ci riserva il futuro; in modo tale che, se siamo "previdenti", possiamo adeguatamente prepararci a cogliere il meglio ed evitare il peggio di ogni attimo che verrà.
Le nostalgie, le malinconie, i rimorsi non giovano, sono come dei pesi che gravano sull'anima e sul cuore.
Prima ce ne liberiamo e prima saremo liberi di vivere al meglio la vita presente!
Lasciamoli andare dentro il flusso della corrente, prendiamo lo zaino delle nostre cose, la nostra attrezzatura, che pesa ancora sulle nostre spalle e gettiamolo nella corrente affinché lo trascini via.
Tanto il nostro passato, la nostra esperienza sono tutti lì, depositati nel mare della memoria, niente e nessuno ci separerà da loro, rimarranno per sempre "costituitivi" della nostra identità terrena.
Riflettiamo: totalmente immersi nel mare della memoria troveremmo la stasi, la morte; camminando con lena verso il futuro vivremo pienamente ogni momento della nostra vita accumulando un tesoro di valore inestimabile.
E gli altri se ne accorgeranno e ci diranno: ti vedo cambiato/a, cosa ti è successo?
Ma quello che saremo quando il nostro tempo terreno sarà finito rimane un mistero, velato alla ragione, aperto solo alla conoscenza del cuore.

Il mistero del Tempo - 1

Tutti pensiamo allo scorrere del tempo come ad una misura di durata che va dal passato al futuro, passando attraverso il presente.
Proviamo adesso a pensare, o meglio "a sentire", che il tempo fluisca dal futuro al momento presente e, immediatamente dopo, "passi" diventando, appunto, passato.
Questo ci aiuterà a comprendere più agevolmente il fatto, peraltro evidente, che il nostro destino non è determinato dalla nostra storia, bensì dalla manipolazione che facciamo del nostro futuro che si fa presente, futuro che si traduce, ogni istante, in un "eterno presente".
Non facciamoci ingannare dal fatto, puramente meccanico, che le lancette dei nostri orologi si muovono, sul quadrante delle ore, dal tempo passato verso il tempo futuro.
Si sarebbe potuto far ruotare in senso antiorario il quadrante delle ore, mantenendo la lancetta fissa sulle 12.
Quest'altra rappresentazione avrebbe raffigurato meglio lo scorrere reale del tempo, dal futuro al passato; ma sarebbe stato molto meno pratico fabbricare un simile orologio (anche perché avremmo avuto bisogno di altri due quadranti, quello dei minuti e quello dei secondi).
Non sto proponendo un gioco o un rompicapo: sto proponendo un "nuovo punto di vista per concepire lo scorrere del tempo e cioè la sequenza dei momenti della nostra vita."
Adesso proviamo a metterli in fila, tutti questi momenti, ordinandoli correttamente dal futuro al passato.
Il futuro è la sorgente del fiume del tempo, da cui scaturiscono tutti i nostri pensieri, i nostri progetti.
E il passato è il mare immenso dove tutti i momenti presenti vanno a depositarsi, dopo che li abbiamo vissuti; è il mare della memoria.
Allora: proviamo, da oggi, a guardare al futuro che viene ed ignorare il passato che è andato.
E vediamo come cambia la nostra vita: in fondo si tratta di realizzare una semplice conversione.

mercoledì 26 ottobre 2016

La "Fiera delle Polemiche" non incanta più nessuno!

Insuccesso? C’era una finalità politica e i cittadini lo hanno capito bene

"Corriere del Veneto" di Martedì 25 Ottobre 2016, pagina 21

Il commento

Non fa affatto piacere doverlo ammettere. Prendere atto dell’«insuccesso» di una manifestazione culturale, da chiunque sia stata promossa e quali che ne siano stati i protagonisti, suscita comunque rammarico. Ciò premesso, in tutta obbiettività si deve riconoscere che il festival «Babele a Nord-Est», fortemente voluto dal sindaco di Padova Massimo Bitonci, in sostituzione – e in aperta polemica - con la «Fiera delle parole», ha fatto registrare risultati complessivamente deludenti. Vedere il Salone del Palazzo della Ragione, capace di ospitare fino a 800 persone, occupato da soli 32 ospiti, o la Sala Rossini del caffè Pedrocchi totalmente vuota, come è accaduto per alcuni eventi del Festival, non suggerisce compiacimento, ma soltanto un senso di tristezza. Avendo ancora nella memoria il ricordo della vera e propria fiumana di persone, di ogni età e ceto sociale, accorse lo scorso anno a seguire gli appuntamenti della «Fiera delle parole», e non dimenticando l’atto di imperio col quale Bitonci ha imposto la cancellazione di quella manifestazione, la tentazione di cantare vittoria, rivendicando il primato della «Fiera» su «Babele» è forte.Ma non è questo il livello di ragionamento che più interessa. Non solo perché è preferibile tenere le distanze da baruffe asfittiche e provinciali, ma soprattutto perché sarebbe sbagliato formulare un giudizio su una iniziativa culturale basandosi esclusivamente sul pur significativo dato dell’affluenza. In realtà, il programma elaborato da Vittorio Sgarbi era di tutto rispetto. Per il prestigio delle personalità coinvolte. Per la varietà dei temi affrontati. Per il coraggio di alcuni accostamenti, fra culture ed esperienze diverse. Il solo fatto di aver scelto quale filo conduttore dell’intera manifestazione il tema dell’Islam, declinato in modi diversi ma quasi sempre con la partecipazione di esponenti di rilievo della cultura islamica, ha costituito una scelta non conformista e tutt’altro che settaria. Si deve inoltre aggiungere che il curatore non si è risparmiato, prendendo parte direttamente ad una pluralità di appuntamenti, ai quali ha conferito un indubbio valore aggiunto, non riducibile alla sua sola notorietà massmediologica. Se tutto ciò (sia pure detto in grande sintesi) è vero, una domanda immediatamente si impone: che cosa non ha «funzionato»? Per quali motivi un’iniziativa potenzialmente di grande interesse, arricchita dalla presenza di nomi di rilievo, focalizzata su temi di indubbia attualità, ha riscosso un interesse complessivamente modesto? Certamente, nel tentativo di proporre una risposta, non si può lamentare l’insufficienza delle risorse disponibili. E’ assodato che il budget di «Babele» è stato nettamente superiore (almeno due volte), rispetto a quello necessario per la realizzazione della «Fiera». Non resta che riconoscere un motivo di fondo: Babele non ha raggiunto gli esiti sperati perché la cittadinanza ha colto – e puntualmente disapprovato – la finalità politica e polemica soggiacente alla manifestazione, e ha conseguentemente espresso il suo dissenso con la scarsa partecipazione agli incontri in programma. Un esempio clamoroso di autogol. Ad essere bocciato, e in maniera inappellabile, non è stato Sgarbi, ma Bitonci. La volontà più volte espressa dal sindaco di caricare politicamente la manifestazione gli si è ritorta contro. Confermando un assioma che non si dovrebbe mai dimenticare. E cioè che la cultura – quella autentica – non si presta a strumentalizzazioni di sorta. E non è il terreno adatto per risse da cortile.

Umberto Curi

venerdì 7 ottobre 2016

Se Renzi avesse saputo e fosse stato consapevole delle conseguenze ...


Il vero quesito: approvate il superamento della democrazia parlamentare?

Intervento di Raniero La Valle al meeting “LoppianoLab” del Movimento dei Focolari a Loppiano (Firenze) il 30 settembre 2016.

Cari Amici,
poiché parlo a una grande riunione di persone la cui motivazione più profonda è che “l’uomo non vive di solo pane”, sento prima di tutto il bisogno di dirvi la ragione per la quale a 85 anni corro l’Italia per sostenere il NO al referendum, quando i giovani di oggi sono disperati per tanti altri motivi.
La ragione principale è una ragione di verità. Nell’ appello con cui i “Cattolici del No” hanno spiegato ai cittadini perché si oppongono a questa riforma, hanno detto di farlo per una questione di giustizia e una questione di verità. In effetti l’Italia ha oggi un grosso problema, di sapere la verità del referendum, non perché qualcuno dica la “sua” verità sul referendum, ma per capire che cosa il referendum dice di sé, che cosa rivela del dramma politico che oggi stiamo vivendo in questo Paese e nel mondo.
La verità è il criterio supremo su cui viene giudicato il potere: sulla verità il potere sta o cade. Lo dice Gesù a Pilato, che voleva sapere se egli fosse un re e Gesù risponde “sono re”, e subito lo nega perché, dice, sono venuto al mondo per “rendere testimonianza alla verità”. Infatti non è un re, nel senso di Pilato, ma un suddito crocefisso. È la più radicale delegittimazione del potere senza verità. Ebbene è proprio la verità che spesso manca al potere e per saperlo basta guardare alla storia dei re e dei potenti, che fanno le guerre per una bugia – come è avvenuto in Vietnam, in Iraq e ora in Siria - e comprano il povero, o il voto del povero, al prezzo di un paio di sandali.
Dunque c’è una questione di verità col potere e c’è una questione di verità col referendum. Ognuno ne parla a suo modo e tutti lo fanno come se parlassero di oggetti diversi; per gli uni è la fine di Renzi, per altri ne è il principio; per gli uni abolisce il Senato, per altri abolisce i senatori; per gli uni favorisce le autonomie, per altri le nega; ed essendo un oggetto misterioso, non si sa nemmeno perché si vota il 4 dicembre con la neve e non si vota invece il 4 ottobre con la brezza autunnale.
In questa mancanza di verità si è accesa una polemica sul quesito su cui si deve votare, che non è l’enunciazione del contenuto della legge ma lo slogan che il governo le ha messo in Parlamento come titolo. Per cui la domanda è se la riforma realizza davvero ciò che promette, oppure se mira a risultati del tutto diversi e tenuti nascosti.
E poiché il titolo promette cinque cose e non c’è il tempo di esaminarle tutte, mi fermerò alla prima per vedere se il titolo è vero.
La prima cosa promessa è il superamento del bicameralismo paritario o, come si dice più comunemente, del bicameralismo perfetto.
Allo stato attuale delle cose il bicameralismo perfetto consiste in due Camere che hanno gli stessi poteri: danno la fiducia, controllano l’esecutivo e fanno le leggi. Avendo entrambe la stessa dignità e la stessa centralità nel sistema, non c’è una Camera alta e una Camera bassa, tutte e due sono Camere alte.
La diversa misura delle due Camere era invece la caratteristica del Regno d’Italia. Secondo lo Statuto Albertino c’era una Camera alta, che era il Senato del Regno, ed era chiamata alta perché i senatori erano nominati dal Re. La Camera dei deputati, i quali invece erano eletti dal popolo, era detta Camera bassa. Era evidente in quella concezione che il Re era l’alto, e il popolo era il basso. Il Senato, nella varietà delle vicende politiche, doveva garantire la continuità del Regno. Questa è la ragione per cui nel “Gattopardo” un messaggero del Re va a chiedere al principe di Salina di fare il senatore: perché anche con l’unità d’Italia i signori continuino a regnare come prima e tutto cambi perché tutto resti com’era. La stessa continuità il Senato del Regno doveva assicurare nel passaggio dallo Stato liberale allo Stato fascista, ma Mussolini preferì fare la Camera dei Fasci e delle Corporazioni, sicché fu poi la Costituente che sciolse il Senato; e i costituenti, trovando il terreno vergine, senza Camera né alta né bassa, decisero di fare due Camere, ambedue elette dal popolo e perciò aventi la stessa statura.
Adesso con la riforma proposta, c’è un rovesciamento perché la Camera dei Deputati diventa lei la Camera alta. In essa siederanno infatti dei deputati di nomina regia, che cioè saranno nominati dall’alto, ovvero dal governo e dai capi dei partiti, e sarà la Camera che dovrà assicurare la continuità del potere e del regime, e dicendo che “tutto cambia”, si farà garante che tutto resti com’è. Invece il Senato diverrà la Camera bassa; e tanto bassa, che non sarà fatta nemmeno da senatori eletti dal popolo, ma da sindaci e onorevoli locali designati dai Consigli regionali.
E a questo punto la questione è questa: pur declassati, questi senatori potranno fare davvero i senatori? Secondo Renzi, dovendo essi venire a Roma a sbrigare delle pratiche, come già fanno i sindaci, ne potranno approfittare per passare anche dal Senato e tra una cosa e l’altra fare i senatori. Però secondo l’art.55 della nuova Costituzione il Senato dovrebbe vegliare su pressoché tutte le politiche pubbliche, valutarle e verificarle, come se fosse una sorta di “commissario politico” della Repubblica. Secondo poi l’art. 70, che ridistribuisce le competenze tra Camera e Senato, i senatori avranno ingentissime altre incombenze e per adempierle dovranno osservare una tempistica massacrante; infatti, mentre da un lato per moltissime leggi fondamentali, che restano nelle competenze del bicameralismo paritario, i senatori dovranno passare in Senato tanto tempo quanto i deputati alla Camera, d’altro lato per richiamare al proprio esame ogni altra legge e per intervenire, deliberare, proporre modifiche, fare ricorso alla Corte costituzionale, dare il loro parere quando il governo voglia sostituirsi ai poteri delle Regioni e delle città metropolitane, i senatori avranno termini tassativi ora di 5 giorni, ora di 10 giorni, ora di 15 o 30 giorni che si accavalleranno tra loro. Questo ancora nessuno l’ha detto; ma è chiaro che nel ping pong tra una legge e l’altra, tra un richiamo di una legge e un altro, tra una proposta di modifica e l’altra, i senatori per non saltare i termini dovrebbero stare a Roma molto più a lungo dei deputati, che invece possono andare a casa quando vogliono senza che a loro scada termine alcuno. E qui c’è il paradosso: una riforma che doveva addirittura istituire un Senato delle autonomie, rischia di risolversi in un una sorta di sabotaggio delle autonomie da parte del Senato.
Perciò è impossibile che sindaci di grandi città e consiglieri regionali di rilievo possano abbandonare i loro doveri d’ufficio nel territorio per installarsi a Roma correndo dietro alle leggi e alle delibere con uno scadenzario in mano. Il che vuol dire che a Roma non ci staranno affatto e perciò ci sarà un Senato ma non ci saranno i senatori, e l’attività legislativa sarà bloccata.
Allora la domanda è: non era meglio piuttosto abolire il Senato? Non lo hanno fatto. Forse i riformatori che volevano “cambiare verso” all’Italia erano troppo conservatori, forse Renzi era troppo organico alla vecchia classe politica per arrivare a sopprimere il Senato della Repubblica, e perfino per osare di cambiarne il nome, che doveva essere “Senato delle autonomie”. Quello che invece hanno fatto è stato di depotenziarlo per renderlo innocuo, per levare l’incomodo che esso arrecava ai governi. E così hanno tolto al Senato l’unico potere che veramente contava e che dava fastidio, il potere di dare e togliere la fiducia. E questo lo hanno statuito senza ambiguità e senza esitazione alcuna: con questa riforma infatti il governo esce totalmente dal controllo del Senato. Così almeno una Camera è messa fuori gioco. E perché la spoliazione fosse ben chiara, hanno tolto al Senato anche quel potere che purtroppo nella nostra cultura massimamente è rappresentativo della sovranità: il potere di deliberare lo stato di guerra che l’art. 87 della nuova Costituzione toglie al Senato e riserva alla sola Camera dei deputati.
In questo consiste dunque l’uscita dal bicameralismo perfetto, che è il titolo e la gloria della legge di revisione che dobbiamo votare.

L’uscita è dalla democrazia parlamentare

Ma quanto, dopo questa uscita, il bicameralismo diventa imperfetto? Diventa tanto imperfetto che neanche la Camera dei deputati funzionerà più come un organo della democrazia parlamentare. La democrazia parlamentare consiste infatti nel rapporto di fiducia per cui il governo nasce e dipende dalla fiducia espressa dalla maggioranza del Parlamento. Ma nel nuovo sistema, la fiducia verrebbe data da una Camera nella quale la maggioranza assoluta dei seggi sarebbe occupata per legge dai nominati di un solo partito. Ora ci dicono che questa legge, l’Italicum, la cambieranno, quando ormai a Renzi, che può perdere, non conviene più. Però finora essa ha fatto parte integrante del cambiamento istituzionale, è stata imposta al Parlamento col voto di fiducia come premessa della stessa riforma, e la Corte Costituzionale, rinviando la decisione sulla sua incostituzionalità a dopo il referendum, l’ha formalmente consegnata al giudizio del popolo italiano. Perciò inevitabilmente il 4 dicembre voteremo insieme sia sulla riforma di uscita dal bicameralismo che sulla legge elettorale che l’accompagna, voteremo cioè sul “combinato disposto”. Dunque voteremo per un sistema in cui al governo la fiducia sarà data da una Camera di sua fiducia, con una maggioranza di deputati nominati dallo stesso governo, corrispondenti però a una minoranza degli elettori. In tal modo la fiducia al governo non sarà più un atto libero di Camere elette e rappresentative di tutto il popolo, ma diverrà un atto interno di partito, diverrà un atto dovuto per disciplina di partito, non importa se riunito al Nazareno o a Montecitorio.
Dunque il punto non è che dal bicameralismo perfetto si passa a un bicameralismo dimezzato. La verità è che il bicameralismo resta, ma è la democrazia parlamentare che se ne va. Il superamento è questo, e questo dovrebbe essere perciò il titolo non menzognero della legge. Ci sarà una democrazia e ci sarà un Parlamento, ma non ci sarà più una democrazia parlamentare. Per questo i riformatori si gloriano del fatto che ci sarà un solo governo per tutti i cinque anni di legislatura, e magari per più legislature, e non ci saranno più come prima 63 governi in 63 anni, come dicono Renzi e l’ambasciatore americano. Ma se dalle urne viene fuori non dico un tiranno, ma un invasato, un uomo del destino, un pazzo, uno Stranamore, un apprendista stregone, o anche semplicemente un idiota, non c’è niente da fare, la sua signoria è assicurata per molti anni; e così le elezioni politiche si trasformano ogni volta per il Paese in una roulette russa, in un rischio di suicidio.
Questa è una delle verità del referendum. Ma c’è anche, come dicevamo, una verità che sta dietro al referendum, e che esso rivela. Essa viene alla luce quando si dice che la legge Renzi-Boschi attua finalmente riforme attese e avviate da tempo.

Un processo di restaurazione

È verissimo che queste riforme vengono da lontano. Ma da chi sono attese? Sono attese dai mercati, dagli investitori, dalle grandi agenzie e società del commercio globalizzato. E sono state avviate dalle Banche, dalle Borse, dalla Trilaterale, dalla scuola di Chicago, dai Premi Nobel dati agli apostoli della dottrina neoliberista, come von Hayek e Friedman, dal Consenso di Washington del 1989, dal Fondo Monetario Internazionale e dalle sue ricette di riforme strutturali. La Costituzione renziana è in effetti il punto di arrivo di un processo di restaurazione condotto da classi dirigenti pentite di quella democrazia che avevamo ritrovato e reinventato dopo la tragedia dei fascismi sconfitti, e che avevamo messo nelle Costituzioni del dopoguerra.
Il fulcro di questa restaurazione consiste nel trasferire la sovranità dal popolo ai mercati.
È una restaurazione che ha bisogno di poteri spicci e sbrigativi, tanto meglio se loquaci, che mettano la politica al passo coi dogmi economici, magari pregati di essere più flessibili.
Ciò comporta un blocco del pluralismo politico e richiede una società impietosa divisa in due tra vincenti e perdenti, accolti ed esclusi, necessari ed esuberi, salvati e sommersi. Per i poveri, che non hanno altra ricchezza che il diritto, è un disastro. Ed è una società che non può più ripudiare la guerra, perché la guerra è il giudice di ultima istanza nella lotta per gli interessi esterni del sistema, per le risorse e per la supremazia.
Da noi il decennio di svolta è stato tra il 1981 e il 1991, a partire dal divorzio tra governo e Banca d’Italia, fino alle picconate alla Costituzione di Cossiga, fino a Maastricht, e al Nuovo Modello di Difesa con cui l’Italia ha ripudiato la pace, ha cambiato natura e missione delle Forze Armate e dopo la scomparsa del nemico sovietico ha accettato la scelta atlantica insensata di sostituirlo con l’Islam come nemico. Da allora viviamo nella nuova conflittualità che si è aperta col Sud del mondo, e col terrorismo come nuovo nome e nuova condizione permanente della guerra.
Questo processo di restaurazione peraltro non si è concluso. Il referendum ne è una tappa intermedia. Già ci dicono che se vince il Si la riforma verrà riformata e si aprirà una stagione di ulteriori revisioni. Certo non basta un No per fermare questo processo, ma il No è condizione perché esso possa essere interrotto e rovesciato.

Raniero La Valle

lunedì 4 luglio 2016

Dai medici Caritas ora vanno gli italiani

Da Il Mattino di Padova di Domenica 03 Luglio 2016, pagina 14

Dopo 18 anni il poliambulatorio nato per gli immigrati cura soprattutto i padovani in difficoltà economica.

Era l’ambulatorio degli stranieri irregolari, quelli senza documenti e senza permessi. Negli anni si è specializzato in odontoiatria e in oculistica, continuando a curare soprattutto immigrati, ma anche i primi padovani in difficoltà economica, segnalati dai servizi sociali. All’alba del diciottesimo anno di attività, il poliambulatorio Caritas di via Duprè scopre di essere la nuova frontiera delle cure dentarie per quella moltitudine di nuovi poveri che vede gli italiani più numerosi degli stranieri.
Nel 2015 e nei primi sei mesi del 2016 sono padovani - o comunque, appunto, italiani - i più presenti nelle liste d’attesa per far fronte a una carie o per un’estrazione o per una cura canalare. Sono il 33 per cento, seguiti da marocchini e rumeni in percentuali inferiori. E sono prevalentemente maschi. Notevole è anche la percentuale di minorenni, che nel 2015 ha raggiunto il 30 per cento e che quest’anno si aggira intorno al 25-26 per cento, anche per effetto di una convenzione con le comunità per minori stranieri non accompagnati.
«Non siamo sorpresi perché siamo arrivati progressivamente a questa situazione», racconta Sara Ferrari, referente della Caritas diocesana per il poliambulatorio. «Abbiamo potuto registrare nel tempo questo impoverimento generale che ha allargato il nostro servizio a nuove fasce di marginalità e quindi a famiglie padovane in difficoltà». Nel 2015 in via Duprè si sono presentate 554 persone e gli interventi di cure dentarie sono stati 1.577. Nei primi sei mesi di quest’anno le persone prese in cura sono state già 318, con 106 italiani. In molti casi si tratta di poveri segnalati dai servizi sociali del Comune, ma anche le parrocchie e i centri d’ascolto vicariali segnalano il servizio che è gestito da Adam Onlus, partner della Caritas.
Al poliambulatorio si accede passando dagli uffici della Caritas dove ogni venerdì c’è un volontario che filtra le richieste, accertandosi che si tratti di situazioni di vera indigenza. «Il reddito massimo, certificato dall’Isee, è di 8 mila euro», aggiunge Sara Ferrari, «ma quasi sempre si tratta di persone che non hanno niente. A loro rilasciamo una tessera a uso interno che dà diritto alle cure per sei mesi. Ma se il ciclo non è completo, poi si fa il rinnovo dopo un secondo colloquio». Nei locali concessi dal Comune - e ristrutturati due anni fa grazie a contributi della Fondazione Cariparo - c’è spazio per due studi odontotecnici. Ci lavorano, ogni mattina dal lunedì al giovedì, undici specialisti, tutti volontari, più un’assistente di poltrona, unica stipendiata, dipendente di Adam. Di bello, in questa storia fatta di servizi gratuiti e di generosità diffusa, c’è anche il fatto due studi dentistici della città - Mavidental e Ceramodent - regalano un paio di dentiere ogni mese. Così qualche anziano che non può permettersela, riesce ad avere la protesi. «Abbiamo anche una convenzione con CbmItalia onlus e con il consorzio Optopiù e in questo modo possiamo dare occhiali e lenti a chi ne ha bisogno», conclude Sara Ferrari. Sembra poco, per qualcuno è tantissimo.

Cristiano Cadoni