"io decido X Albignasego" è il nome del movimento civico che vuol dare la parola ai cittadini di Albignasego, comune della provincia di Padova ... e non solo!

mercoledì 22 febbraio 2012

Esiste ancora un Diritto al Lavoro?

Gli imprenditori chiedono la libertà di licenziare, i sindacati difendono il diritto al lavoro. Due posizioni che, così determinate, appaiono inconciliabili. E invece così non è.

Per dipanare questa matassa ingarbugliata dovrò formulare alcune domande alle quali cercherò di dare delle risposte.

Dove sta, oggi, l'eguaglianza tra i lavoratori?

Ci sono i lavoratori cosiddetti atipici, con contratto a tempo, assai meno garantiti dei lavoratori assunti a tempo indeterminato. In teoria, per i primi si ipotizza un periodo di precariato che dovrebbe sfociare, in base alle capacità individuali dimostrate nel breve o medio periodo, in un impiego stabile e sicuro.

Peccato che questa situazione di precariato sia diventata la stabile condizione presente di tantissimi giovani ventenni e trentenni, proprio quelle persone che avrebbero bisogno di uno stabile spazio futuro per poter costruire un loro progetto di vita, magari condiviso con altri, ad esempio una compagna (un compagno), un collaboratore economico, un ambito cooperativo ...

Vediamo allora che l'attuale normativa sul lavoro, che ingessa alcuni ed esclude altri, è diseguale: a chi ha raggiunto la sicurezza di un lavoro stabile manca la libertà di cambiare e a chi non l'ha ancora raggiunta mancano le opportunità per conquistarla. E' quindi necessario e doveroso cambiarla, soprattutto nel rispetto dei diritti dei giovani lavoratori.

Il diritto al lavoro viene prima del dovere di lavorare?

Evidentemente sì, e posso essere più preciso: ogni uomo ha diritto ad una formazione lavorativa, essa è costitutiva della personalità, non si può dare una vera maturazione umana se non c'è l'impegno costante a diventare ciò per cui si è venuti al mondo e se non si creano le occasioni per imparare e migliorare. Se mi piace la musica e mi applico nel suo studio divento un musicista, se mi piace lavorare il legno divento un falegname, se mi piace dirigere un'azienda divento un direttore d'azienda e così via ...

Senza diritto al lavoro nessuno dovrebbe essere obbligato a lavorare.
Qui si tratta di dignità umana.

Vediamo, in conclusione, che contemperare libertà ed eguaglianza nel mondo del lavoro diventa impresa ardua, se non impossibile, in mancanza di quel patto di cooperazione tra imprenditori e lavoratori, patto che riconoscerebbe agli uni e agli altri il diritto/dovere di essere coloro che possono e devono essere, in due parole: se stessi.

Libertà ed eguaglianza rimangono UTOPIE se non vengono attuate attraverso il riconoscimento dei legami sociali che sono costitutivi della società civile, ed uno di questi legami è sicuramente il legame imprenditori <=> lavoratori.

Non è cosa di poco conto. Posso osservare che il mancato riconoscimento dei legami sociali comporta la progressiva trasformazione della società civile in società incivile.

E la cronaca quotidiana ci informa che questa trasformazione è in atto.

Lo scorso week-end, nel contesto di un seminario molto particolare tenutosi al Polo Lionello Bonfanti di Incisa Valdarno (FI), si argomentava di trasformazione delle democrazie.
Non vi può essere alcun dubbio sul fatto che le nostre democrazie sono giunte ad un bivio: preferiamo installare una società civile al governo della Repubblica o ci abbandoniamo al consumismo di una società sempre più incivile ed ingovernabile?

Dobbiamo scegliere, nessuno sceglierà la società civile se non coloro che ne fanno parte.

A me che scrivo, a te che leggi, cittadino elettore italiano, d'Europa, del mondo, compete il diritto/dovere di questa scelta, con l'impegno civile e politico che ne consegue.

3 commenti:

  1. Enrico, non sono d'accordo sulla risposta che dai al quesito: " Viene prima il diritto al lavoro o il dovere di lavorare?". Secondo me, non esiste un diritto, se non c'è nello stesso piano e momento un dovere. Hai postato il termine Dignità in maniera inappropriata a mio modo di vedere. Kant l'illuministà, per dignità intende l'imperativo categorico: " Agisci in modo da trattare l'umanità, tanto nella tua persona come nella persona di ogni altro, sempre come un fine e mai come un mezzo".
    Se tu chiami dignità solo la richiesta di un diritto, senza la contemporaneità del dovere, umìli la dignità di chi dall'altra parte ha solo il o un dovere.
    Senza poi contare altri concetti applicabili ai diritti-doveri, quali quelli del Valore morale, della Virtù e del Merito, che non sono poca cosa.
    Per il resto è condivisibile che la cooperazione fra " le Parti" debba avvenire, anche se ciò è nell'ordine razionale delle cose prima che alla norma. Infatti la dottrina del dovere che ognuno carica su di sè è fondata su un'etica e norma del " vivere secondo natura " non solo come ricerca della felicità ( aristotelica ).
    Vedi Enrico c'è una differenza fra l'agire con coscienza secondo il Dovere e agire per obbligo di rispetto al D., che è semplicemente "azione legale". Tu lo capisci ora bene la differenza. C'è poi da dire inoltre che è diversa l'etica di una società aperta da quella di una società chiusa. Ammetterai che è da privilegiare la prima. Bergson la chiama etica assoluta, perchè riguarda tutta l'umanità non sono una circoscrizione ed è lo sforzo di far progredire il senso creativo della vita tendendo sempre più alla forma perfezionata di società, quella che possiede anche valori positivi posti in ambito metafisico e anche oltre con il valore dei valori interpersonali e anche teologici, cioè l'amore.
    Chiaro che a noi per prima è dovuta la scelta della società civile, come diritto-dovere e soprattutto come impegno, il cambio di indirizzoinfatti è prima di tutto culturale.
    Dobbiamo acquisire le migliori tecniche di uso, produzione e comportamento, mediante le quali siamo in grado di appagare i bisogni della nostra società e di proteggerci contro l'ostilità dell'ambiente fisico e biologico per lavorare e vivere nella forma ordinata e pacifica, la migliore consentita e possibile.
    Nessuna società può esistere senza cultura. Nell'antichità, come cultura, tutto veniva investito nella sopravvivenza, al giorno d'oggi vista la complessità del nostro sistema, ci è imposto come obbligo il dover affrontare situazioni nuove e dover effettuare mutamenti, per cui occorre flessibilità e capacità di correzione pronta agli indirizzi, ma soprattutto rapidità nella trasmissione degli stessi.. Non solo occorre soprattutto la capacità di formare individui adatti a questo scopo. L'educazione compete alla società, ma riguarda espressamente l'individuo. Quindi la formazione dell'individuo, la sua cultura divengono il Fine dell'Educazione. Un mio carissimo amico, che mi leggerà in copia adesso sarà veramente felice, per quello che scrivo, perchè è lui che mi ha dettato questi pensieri specialmente nel concetto di felicità intellettuale nel merito e dal merito, non solo nel bisogno di felicita dal esso in senso materiale
    Spero che tu prenda questo commento postato non come semplice contrapposizione verbale, ma bensì come dialogo e cultura del dialogo in linea con i concetti sopra espressi.
    Attendo una tua risposta.
    Silvio

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  2. Caro Silvio,
    prima di tutto grazie della tua risposta.
    Premetto che molte delle tue affermazioni sono, a mio parere, condivisibili. Non tratterò di quelle, ovviamente, per non appesantire la mia risposta.
    Nello spirito del dialogo da te auspicato al termine del tuo articolato intervento, voglio cimentarmi nel completare quello che potrebbe scaturire dal mio pensiero originale coniugato con le tue numerose suggestioni.

    Ho affermato che il diritto viene prima del dovere, non solo in campo morale, ma anche nella legislazione civile (vedi varie Costituzioni). Altra cosa è la legislazione militare e non ne tratterò adesso.
    Mi limito, nel contesto civile, ad osservare che se esiste un diritto della persona umana al lavoro, necessariamente ne discende un dovere del lavoratore (=persona qualificata dal lavoro che svolge) ad espletare tale lavoro secondo i canoni dell'etica, della morale e nel rispetto delle leggi e dei regolamenti. Non altrettanto si può dire del viceversa: se la persona umana avesse il dovere di lavorare a prescindere dal suo diritto ad essere uomo-lavoratore o donna-lavoratrice, qualsiasi lavoro sarebbe accettabile e dovrebbe essere accettato, anche a detrimento della sua crescita, formazione, maturazione umana e sociale. Nell'attuale "mercato del lavoro globalizzato" possiamo osservare molte situazioni di sfruttamento e di privazione causate dalla situazione di necessità di lavoro per dovere e non per diritto: tali situazioni coinvolgono prevalentemente i soggetti deboli, quali i giovani e le donne (in particolar modo le coniugate e le giovani madri). Ne consegue una società che toglie alle giovani generazioni il loro diritto al futuro (col diritto alla famiglia e alla generazione).
    Tale diritto viene negato da coloro che attualmente stabiliscono le regole che gestiscono il mercato del lavoro, regole di concorrenza spietata passate per regole di efficienza; regole in base alle quali si giustifica lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo, mi riferisco, per essere più chiaro, all'importazione in Europa di mano d'opera ad "infimo" costo dal Centroafrica e all'importazione di prodotti a bassissimo valore aggiunto (e basso prezzo, ma non troppo!) dalle più disparate parti del globo verso i paesi sviluppati.
    Di pari passo col diritto al lavoro non viene più riconosciuto il diritto ad un giusto riposo e alla pensione al termine dell'attività.
    Questi processi economico-sociali, invece di far crescere i lavoratori e le loro comunità, hanno l'unico scopo, ripeto, l'unico scopo, di accumulare ricchezze nelle mani di pochi, pochissimi speculatori internazionali.
    Per questo motivo il Prodotto Interno Lordo del mondo si misura in massa monetaria scambiata e non in reale, concreta ricchezza prodotta a beneficio dell'umanità.
    E' l'arricchimento di pochi che alimenta la finanza globalizzata e va a detrimento di tutti (anche di coloro che appaiono cavalcarla, mi riferisco alla cronaca rosa che si tinge di nero, cioè alle tante osannate star dello spettacolo, dell'economia e della politica che, quotidianamente, precipitano nella polvere).
    Non posso adesso, per ragioni di spazio e di tempo, rispondere alla domanda finale: perché tutto questo? Mi impegno a rispondere in un prossimo post su questo blog.
    Concludo affermando, penso di incontrare il tuo pieno accordo, che la dignità dell'essere umano viene prima di tutto il resto, prima anche delle ideologie e delle pur giuste rivendicazioni dell'etica e della morale, del diritto privato e del dovere pubblico.
    Condivido il tuo richiamo-appello alla vocazione all'amore dell'uomo (e della donna). La intendo onnicomprensiva di tutti gli aspetti della vita, quindi anche di quello lavorativo.
    Quindi ... lavorare per amore?
    Mi pare che la risposta sia evidente e non potrai non essere d'accordo.
    L'amore è quella disposizione particolare - te ne sei mai accorto? - che mette in armonia diritti e doveri.
    Ciao e a presto!

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  3. Buongiorno Enrico,

    ho apprezzato molto il tuo articolo su diritti e lavoro!
    Hai detto parole sacrosante:"...contemperare libertà ed eguaglianza nel mondo del lavoro diventa impresa ardua, se non impossibile, in mancanza di quel patto di cooperazione tra imprenditori e lavoratori, patto che riconoscerebbe agli uni e agli altri il diritto/dovere di essere coloro che possono e devono essere, in due parole: se stessi. Libertà ed eguaglianza rimangono UTOPIE se non vengono attuate attraverso il riconoscimento dei legami sociali che sono costitutivi della società civile, ed uno di questi legami è sicuramente il legame imprenditori <=> lavoratori".

    Quando membri del ns Governo chiedono agli Italiani di essere benevolenti nei confronti di chi produce ricchezza lavorando in modo onesto e pagando regolarmente le tasse, noi cittadini non possiamo che sentirci presi in giro: ci fanno passare come invidiosi per le ricchezze altrui ("machissenefrega!"), quando in realtà il problema riguarda le disuguaglianze concernenti le tutele lavorative e sociali e le incolmabili differenze di reddito generato dalle professioni.
    La ns Costituzione afferma all'art. 3: "E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese."
    E ancora all'art 36: "Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa...
    I politici dovrebbero tenere a mente che:
    1) non tutte le professioni (scelte liberamente o per necessità) producono ricchezza. Ci sono spesso paradossi per cui lavori utili socialmente, oppure faticosi, oppure usuranti generano redditi non elevati, anzi oggi non si arriva in molti casi neppure ad un reddito sufficiente;
    2) non tutti i lavori hanno uguali tutele;
    3) non esiste un sistema di welfare adeguato che possa sopperire alle mancanze 1) e 2).

    Di fronte a queste situazioni ai politici viene permesso di fare generalizzazioni sui giovani (bamboccioni, sfigati ecc) fino a quelle di Emma Marcegaglia che fa sembrare che le aziende siano talmente piene di assenteisti e ladri da dover richiedere la modifica dell'art 18 dello Statuto dei Lavoratori!
    Ritorniamo a quanto da te affermato: dobbiamo mettere al centro del dibattito sul lavoro il riconoscimento dei legami sociali!!!

    Ti anticipo che con Rete Civica Italiana (e i vari movimenti civici ovviamente) stiamo cercando di mettere in piedi una giornata sui temi dell'economia e del lavoro.
    Ti faccio sapere al più presto!

    Grazie, un caro saluto
    Lara

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