Cacciari e Zamagni in dialogo a Genova
su religione, politica partecipata ed economia. L'attuale situazione
è complessa e appare negativa. Quale può essere il contributo di
chi ha fede per avviare, al contrario, un percorso positivo?
di Emanuele Pili
Nei giorni scorsi sono ripresi gli incontri di “Cattedrale aperta” promossi dall’arcidiocesi di Genova. In un’atmosfera di grande partecipazione, anche in forza della numerosa presenza della cittadinanza nella chiesa di San Lorenzo, sono intervenuti Massimo Cacciari e Stefano Zamagni, due esponenti di spicco dell’attuale mondo culturale, politico ed economico del nostro paese, intorno ad un tema tanto urgente quanto spinoso qual è quello formulato nella domanda degli organizzatori: la religione è compatibile con la democrazia?
Il primo intervento, affidato a
Cacciari, muove dal constatare che la società nella quale viviamo e
agiamo è profondamente segnata dall’in-differenza spirituale.
In-differenza indica appunto l’assenza di diversità tra le
persone, o meglio tra gli individui, sul piano dei valori che donano
senso all’esistenza, al di là della falsa promessa consumista, la
quale rimane l’unica forma di pensiero dominante. Per trovare la
differenza, continua Cacciari, dobbiamo spostarci sul piano
prettamente economico: è soltanto lì che avviene la distinzione
sociale, interamente valutata su parametri monetari.
Questa è la situazione odierna, ed è
per questo che la democrazia è in crisi profonda. Essa, infatti,
dovrebbe alimentarsi delle diversità provenienti dalle prospettive
di senso presenti nella società. È dunque chiaro che, se il
discorso sul senso e sui valori viene consegnato all’in-differenza,
la democrazia perde il fondamentale serbatoio dal quale si alimenta.
Ecco perché la religione, così come tutte le realtà che di per sé
sono portatrici di valori, possono rappresentare delle risorse vitali
della democrazia. Tuttavia, Cacciari non nasconde che la pretesa
assoluta dei valori religiosi può anche trasformarsi in bramosia di
potere, supremazia dell’altro. In questa direzione, però, il
relatore individua nella fede cristiana un potente antidoto a questa
tentazione: la croce. Essa costituisce il luogo dal quale essere
segno di contraddizione, di critica, e dal quale intraprendere
qualsiasi iniziativa politica. È tutta lì, in fondo, la garanzia
della non ideologicità, e la credibilità, del cristianesimo.
Zamagni, successivamente, introduce la
sua riflessione presentando il rapporto tra economia e politica e
mostrando come questo abbia avuto un’inversione di rotta. Dapprima,
infatti, la politica era vista come la scienza del “fine” da
perseguire nella società per “mezzo” dell’economia; oggi, al
contrario, con l’avvento di vari fenomeni, come quello della
finanziarizzazione dell’economia o della globalizzazione, questa
relazione è stata indebitamente invertita: chi detta i “fini”
del nostro vivere quotidiano è l’economia, mentre la politica si è
ridotta a “mezzo” che si orienta a quei fini.
La democrazia, in altre parole, segue
ed è al servizio del mercato, e non viceversa. Questo fatto è di
estrema rilevanza ed è proprio qui che la religione è chiamata ad
intervenire per contribuire alla riabilitazione della democrazia. Il
cristianesimo, in particolare, mettendo al centro la persona e la sua
dimensione valoriale e relazionale, è chiamato a coniugare il
principio di fraternità con quello di libertà e uguaglianza,
avviando un processo che si costituisce nel dono della gratuità, e
che poi si sviluppa nello scaturire delle virtù civiche, bene
preziosissimo e fondamentale sostegno di una società.
In conclusione, non si può non notare
che le analisi dei relatori siano partite da posizioni realiste, che
sentono le enormi difficoltà del nostro periodo storico. Cacciari,
ad esempio, parla di una situazione “drammatica”, mentre Zamagni
evidenzia che, per molti versi, non siamo lontani dal “collasso”.
Entrambi, tuttavia, non soccombono di fronte al malessere diffuso, ed
anzi non esauriscono le energie per segnalare possibili percorsi e
prospettive di uscita, forti del fatto che, come diceva Aristotele,
la virtù è più contagiosa del vizio.
(da Città Nuova
online del 12 dicembre 2014)
Nessun commento:
Posta un commento