"io decido X Albignasego" è il nome del movimento civico che vuol dare la parola ai cittadini di Albignasego, comune della provincia di Padova ... e non solo!

martedì 8 dicembre 2015

The invitation

Non mi interessa che cosa fai per guadagnarti da vivere,
voglio sapere che cosa strugge il tuo cuore
e se hai il coraggio di sognare
l’incontro con ciò che esso desidera.
Non mi interessa quanti anni hai,
voglio sapere se rischierai di sembrare ridicolo per amore,
per i tuoi sogni,
per l’avventura di essere vivo.
Non mi interessa quali pianeti
sono in quadratura con la tua luna,
voglio sapere se hai toccato
il centro del tuo dolore,
se le difficoltà della vita
ti hanno portato ad aprirti
oppure a chiuderti per paura di soffrire ancora.
Voglio sapere se puoi sopportare il dolore,
mio o tuo,
senza far nulla per nasconderlo,
per allontanarlo o cristallizzarlo.
Voglio sapere se puoi vivere
con la gioia, mia o tua;
se puoi danzare con la natura
e lasciare che l’estasi ti pervada
dalla testa ai piedi senza chiedere di essere
attenti, di essere realistici o di ricordare i
limiti dell’essere umani.
Non mi interessa se la storia che racconti è vera,
voglio sapere se sei capace di
deludere qualcuno per restare fedele a te stesso;
se riesci a sopportare l’accusa
di tradimento senza tradire la tua anima.
Voglio sapere se puoi essere di parola
e quindi degno di fiducia.
Voglio sapere se sei capace
di trovare la bellezza anche nei giorni in cui il sole non
splende e se puoi ricavare vita dalla Sua presenza.
Voglio sapere se riesci a
vivere con il fallimento, mio e tuo,
e comunque rimanere in riva a un lago
e gridare alla luna piena d’argento:
“Sì!”
Non mi interessa sapere dove
vivi o quanti soldi hai,
voglio sapere se riesci
ad alzarti dopo una notte
di dolore e di disperazione,
sfinito e profondamente ferito
e fare ugualmente quello che devi
per i tuoi figli.
Non mi interessa
chi sei e come sei arrivato qui,
voglio sapere se rimani al centro
del fuoco con me senza ritirarti.
Non mi interessa dove
o che cosa o con chi hai studiato,
voglio sapere che cosa ti sostiene da dentro,
quando tutto il resto viene a mancare.
Voglio sapere se riesci a stare da solo con te
stesso e se la tua compagnia
ti piace veramente nei momenti di vuoto.

By Oriah © Mountain Dreaming,
from the book The Invitation
published by HarperONE, San Francisco,
1999 All rights reserved

venerdì 20 novembre 2015

LA NINNA NANNA DE LA GUERRA

Trilussa

LA NINNA NANNA DE LA GUERRA

(1914)

 Ninna nanna, nanna ninna,
er pupetto vò la zinna:
dormi, dormi, cocco bello,
sennò chiamo Farfarello
Farfarello e Gujermone
che se mette a pecorone,
Gujermone e Ceccopeppe
che se regge co le zeppe,
co le zeppe d'un impero
mezzo giallo e mezzo nero.
Ninna nanna, pija sonno
ché se dormi nun vedrai
tante infamie e tanti guai
che succedeno ner monno
fra le spade e li fucili
de li popoli civili
Ninna nanna, tu nun senti

li sospiri e li lamenti
de la gente che se scanna
per un matto che commanna;
che se scanna e che s'ammazza
a vantaggio de la razza
o a vantaggio d'una fede
per un Dio che nun se vede,
ma che serve da riparo
ar Sovrano macellaro.
Chè quer covo d'assassini

che c'insanguina la terra
sa benone che la guerra
è un gran giro de quatrini
che prepara le risorse
pe li ladri de le Borse.

Fa la ninna, cocco bello,
finchè dura sto macello:
fa la ninna, chè domani
rivedremo li sovrani
che se scambieno la stima
boni amichi come prima.
So cuggini e fra parenti
nun se fanno comprimenti:
torneranno più cordiali
li rapporti personali.
E riuniti fra de loro
senza l'ombra d'un rimorso,
ce faranno un ber discorso
su la Pace e sul Lavoro
pe quer popolo cojone
risparmiato dar cannone!

lunedì 16 novembre 2015

Chi sono gli aderenti all'ISIS?

Per combattere un nemico evanescente, ma deciso, non bastano le parole roboanti e le minacce, che svaniscono nel nulla se non si conosce a fondo la natura più intima del nemico.

Identificare l'ISIS come "Stato islamico" e coinvolgere l'intero Islam nell'identificazione terroristica, peggiora le condizioni di difesa favorendo la tecnica aggressiva che usa come paravento la religione islamica; l'Islam moderato dovrebbe essere l'alleato privilegiato per combattere tali estremismi.

Conoscere il nemico da combattere diventa imperativo, perché si tratta di un nemico del quale si ignora tutto, tranne gli effetti disastrosi che è in grado di promuovere.

Cominciamo con il dire che non si tratta di uno Stato Islamico e che non si tratta di gruppi isolati, occasionalmente uniti. Non si tratta di Stato Islamico perché non sono islamici e la loro Costituzione non è "Il Corano" in quanto sono ben lontani dal seguirne i precetti, come:

"Ad ogni comunità abbiamo indicato un culto da osservare. E non polemizzino con te in proposito."
Corano Sura XXII Al Hajj (Il Pellegrinaggio 67-32)

Versetto che invita alla tolleranza dei riti delle altre comunità religiose.

Stante la loro collocazione geopolitica, possiamo dedurre che si tratta di Hashashin, termine che fa riferimento ad una delle più antiche sette religiose sorte nel MedioEvo, come interpretazione distorta dell'Islam Coranico; dalla loro identificazione scaturisce il termine "Assassini", perché dediti ad omicidi efferati. Il termine significa "Consumatori di hashish", droga devastante che si ottiene dalla canapa indiana.

Setta fondata dall'emiro Isma'il ibu Gia'far, infatti la loro prima identificazione li chiama Isma'iliti, da non confondere con Ismaeliti, che identifica tutto il mondo arabo-semita, discendente da Ismaele, figlio di Abramo e della schiava Agar.

Ciò che si ignora è la struttura interna di tale setta, che si tramanda dal tempo delle crociate; come ogni setta ha un capo assoluto, Djebal, o Gran Maestro, meglio conosciuto come “Il Veglio della Montagna”, con prerogative di Monarca assoluto; ruolo adesso ricoperto da Abu Bakr al-Baghdadi.

La setta nacque durante le Crociate e lo scopo era lo stesso degli Ordini dei Cavalieri occidentali: difendere il Santo Sepolcro; dai Cristiani, però. Quindi la loro origine non è lontana dai capisaldi delle Sacre Scritture, con la venerazione di Abramo, la loro discendenza dal figlio di Abramo Ismaele, la difesa del Santo Sepolcro minacciato dalle crociate, con particolare riferimento all’ordine cavalleresco dei Teutonici dai quali appresero la gerarchia interna composta da Gran Maestro, Grande Priore, Priore, frate, scudiero, che in arabo diventa Djebal, Sheik, Daiikebir, dais.

Fu Federico II ad avere maggiori rapporti con gli Ismailiti, già diventati Hashashin, quando si decise a fare la Crociata che il Pontefice gli ordinava; mantenne con loro rapporti diplomatici e permise loro di praticare la loro religione a Gerusalemme, città della quale Federico si era proclamato imperatore.

La setta fu sempre selettiva nell'accettazione di nuovi adepti, che dovevano praticare la più assoluta dedizione al "Veglio"; ai giovani, una volta entrati a farne parte, non era più consentito uscirne.

Gli storici hanno sempre condiviso l'idea che alla base della fedeltà al "Veglio", ci  fosse l'uso e l'abuso di sostanze come l'hashish, che schiavizza i seguaci, rendendoli sempre più dipendenti dal Gran Maestro.

Il momento storico che li rese famosi è legato al sultano (Djebal), Aloylin, una figura inquietante, dispotica, sadica e crudele.
La storia ci dice  che, per legare sempre più a sé i giovani adepti, egli ricorresse ad un espediente profondamente ingannevole. Li drogava con hashish e li faceva vivere per qualche giorno in un luogo di delizie ed incanti, serviti e riveriti da belle fanciulle pronte ad assecondarli in ogni richiesta. Passato l’'effetto della droga, i giovani credevano davvero di essere stati in Paradiso, finendo in tal modo di cadere completamente in balia dell'infido Gran Maestro.
Annullata ogni loro volontà e personalità, i giovani adepti erano pronti ad eseguire qualunque ordine del Sultano, per tornare in quel "Paradiso".
Perfino uccidere o uccidersi.
La tradizione conferma che il sultano (Djebal), per dimostrare ai suoi ospiti occidentali la fedeltà dei suoi guerrieri, offriva loro uno spettacolo agghiacciante: ordinava ad alcuni di loro di gettarsi giù dall'alto della fortezza  e sfracellarsi sulle rocce sottostanti.
Ordine che i giovani eseguivano con grida di gioia, convinti di “tornare” in quel Paradiso che avevano conosciuto sotto l’'effetto della droga.

Tale metodo si ripete anche oggi, perché solo drogati, svuotati di una propria volontà, possono accettare di sacrificarsi, uccidendo e suicidandosi.

Come con tutte le organizzazioni criminali, per riuscire nell'intento di smascherare questi terroristi, si dovrebbe inseguire la via del denaro e della droga, degli scambi con denaro contro petrolio di contrabbando, acquistato da petrolieri senza scrupoli, nonché lo scambio tra droga e armi, gestito dalle mafie che lucrano sia con le armi che con i pani di droga ottenuti in cambio.

Rosario Amico Roxas

martedì 10 novembre 2015

Due storie di ordinario degrado

Soranzo si rivolge al vescovo per risolvere il nodo ex seminario

Da "Il Mattino di Padova" di Martedì 10 Novembre 2015
 
SELVAZZANO Il sindaco di Selvazzano Enoch Soranzo chiede un incontro urgente al neo vescovo della Diocesi di Padova, don Claudio Cipolla, per discutere dei problemi dell’ex Seminario di Tencarola. In primis le pendenze economiche relative alle imposte (Ici e Imu per circa 2,5 milioni di euro) che secondo il primo cittadino la Curia padovana deve da anni al Comune di Selvazzano. In seconda battuta il problema della sicurezza all’interno del complesso in stato di abbandono, che continua a mantenere viva la preoccupazione dei cittadini di Tencarola e San Domenico (l’ultimo allarme incendio è scattato domenica mattina). Ma non solo questo. «Circola sul web la notizia che ci sarebbero degli operatori che organizzano visite guidate in luoghi in stato di abbandono e, tra questi, c’è anche l’ex seminario di via Monte Grappa», afferma Soranzo «Questa scoperta mi ha fatto davvero arrabbiare e voglio sapere dal vescovo se ne sa qualcosa, visto che sul sito di questa organizzazione sono state postate delle foto che testimoniano che sono entrati nella struttura. Ma come, al Comune e alle forze di polizia è stato categoricamente vietato di accedere senza previo consenso della proprietà e poi scopro che altri si sono introdotti senza alcun problema?». Nella missiva inviata nelle ultime ore in Curia, Soranzo chiede al vescovo un incontro urgente al fine di definire una volta per tutte una questione, quella della sicurezza all’interno del sito, che si protrae da anni e che ultimamente è stata motivo di frizioni e polemiche tra i rappresentati dell’Ente Seminario e i consiglieri comunali, soprattutto di maggioranza, che sollecitano l’ente religioso a fare la propria parte. «Recentemente, come presidente della Provincia ho avuto modo di conoscere sua eminenza il Vescovo e mi ha fatto un’ottima impressione», aggiunge il sindaco «Ho apprezzato il modo con cui affronta i problemi. Confido che don Cipolla ci sia di aiuto per venire a capo di una vicenda che ai selvazzanesi sta molto a cuore». Il sito in cui il blogger ha inserito anche l’ex seminario di Tencarola tra i luoghi in stato di abbandono è: sbilanciamento.blogspot.it. Vengono indicate vecchie ville, ex discoteche e monumenti in stato di degrado. In alcuni casi queste strutture, spesso con i muri tappezzati dai writers di scritte e disegni, sono state utilizzate come backstage per servizi fotografici.

Gianni Biasetto
 

«La scuola materna Angela Breda rischia di chiudere»

Da "Il Mattino di Padova" di Martedì 10 Novembre 2015
 
PONTE DI BRENTA La scuola materna Angela Breda, a Ponte di Brenta, secondo i genitori dei bimbi rischia di chiudere. Genitori che sono amareggiati e arrabbiati. Prima tante promesse da parte del Comune, soprattutto un finanziamento di 150 mila euro messo a disposizione dalla Fondazione Cariparo, finalmente la gestione di Spes ma ad oggi siamo al punto di partenza. Dopo il terremoto del 2012 che ha reso inagibile la parte più pregiata, più capiente e più bella, i bambini sono stati trasferiti nell’altra ala, più recente, ma, a dire dei genitori, «costruita male e poco stabile». «I piccoli» spiegano «attualmente sono divisi in tre aule e avrebbero un giardino a disposizione, solo che quando piove, sistematicamente, emerge addirittura la fogna. A quanto abbiamo capito il nodo più difficile da sciogliere è quello della proprietà che non è ancora del Comune perché manca il nulla-osta del commissario regionale, ma il nostro sospetto è che il Comune non voglia intervenire». Intanto, sopravvive solo la scuola materna (con 40 bambini iscritti), mentre il nido ha chiuso perché non c’era abbastanza spazio per accogliere anche i più piccoli. «Il risultato è che i genitori di Ponte di Brenta non sono più attratti dalla Breda», sottolineano i superstiti, «incredibile la non attenzione del Comune visto che proprio in questa parte del rione si è creato un polo scolastico che necessita, per essere completo, solo della materna». Nessuna sorpresa che quest’anno si siano registrate meno iscrizioni dell’anno passato. La stessa Spes sta facendo i salti mortali per continuare a garantire la gestione della scuola, investendo in denaro e lavoro ma, se non parte il finanziamento pubblico, il prossimo gennaio non apriranno nemmeno le iscrizioni.

Elvira Scigliano
 

venerdì 18 settembre 2015

La donna tentatrice? È offensivo!

Bergoglio demolisce i luoghi comuni «La donna tentatrice? È offensivo»

Dal "Corriere della Sera" di Giovedì 17 Settembre 2015, pagina 23 

Il Pontefice: c’è spazio per una teologia diversa. Scaraffia: cade uno stereotipo secolare

CITTÀ DEL VATICANO Francesco l’aveva buttata lì durante un’udienza prima dell’estate, una battuta mentre parlava del «puro scandalo della disparità» tra uomo e donna e metteva in guardia dalla «falsità» di chi dice che il matrimonio è in crisi a causa dell’emancipazione femminile: «È una forma di maschilismo, che sempre vuole dominare la donna. Facciamo la brutta figura che ha fatto Adamo, quando Dio gli ha detto: “Ma perché hai mangiato il frutto dell’albero? E lui: “La donna me l’ha dato”. E la colpa è della donna, povera donna, dobbiamo difendere le donne!».
Detto, fatto. La battuta di qualche mese fa è diventata ieri una riflessione teologica che il Papa ha proposto in piazza San Pietro nell’ultima delle catechesi dedicate alla famiglia. Adamo, Eva, la mela. E quella frase nel terzo capitolo della Genesi, cita Francesco, le parole che Dio rivolge «al serpente ingannatore, incantatore», versetto 15: « Io porrò inimicizia tra te e la donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe ». Francesco scandisce: «Pensate quale profondità si apre qui! Esistono molti luoghi comuni, a volte persino offensivi, sulla donna tentatrice che ispira al male. Invece c’è spazio per una teologia della donna che sia all’altezza di questa benedizione di Dio per lei e per la generazione!».
Lucetta Scaraffia, coordinatrice dell’inserto Donne Chiesa mondo dell’ Osservatore Romano , notava ieri che «lo stereotipo» secolare della donna tentatrice «ha avuto molta fortuna nella Chiesa». E Francesco, ieri, lo ha demolito. I «luoghi comuni offensivi» dicono l’opposto della verità. Perché con le parole rivolte al serpente, ha spiegato il Papa, «Dio segna la donna con una barriera protettiva contro il male, alla quale essa può ricorrere — se vuole — per ogni generazione». Lo stesso Cristo, ricorda, è nato da una donna. E il racconto della Genesi «vuol dire che la donna porta una segreta e speciale benedizione, per la difesa della sua creatura dal Maligno: come la Donna dell’Apocalisse, che corre a nascondere il figlio dal Drago. E Dio la protegge».
Anche da qui deve partire quella riflessione che Francesco invocò dall’inizio del pontificato, nel 2013: «Il ruolo della donna nella Chiesa non è soltanto la maternità, la mamma di famiglia, ma è più forte: è proprio l’icona della Vergine, quella che aiuta a crescere la Chiesa. La Madonna è più importante degli Apostoli! E la Chiesa è femminile… Credo che noi non abbiamo fatto ancora una profonda teologia della donna, nella Chiesa». Capire questo, oltre i «luoghi comuni» e le disparità, è fondamentale per quella «nuova alleanza tra uomo e donna» che Francesco ritiene «non solo necessaria ma anche strategica» nel nostro tempo: per «l’emancipazione dei popoli dalla colonizzazione del denaro». Il Papa anticipa temi del prossimo viaggio a Cuba e negli Usa, che si concluderà con l’incontro delle famiglie a Philadelphia. Temi che saranno anche al centro del Sinodo di ottobre.
Tutto si tiene. Francesco spiega che «l’attuale passaggio di civiltà appare segnato dagli effetti a lungo termine di una società amministrata dalla tecnocrazia economica». E «la subordinazione dell’etica alla logica del profitto dispone di mezzi ingenti e di appoggio mediatico enorme». Qui sta il ruolo decisivo della famiglia: «La nuova alleanza tra uomo e donna deve ritornare ad orientare la politica, l’economia e la convivenza civile!».
Perché Dio «ha affidato alla famiglia non la cura di un’intimità fine a se stessa, bensì l’emozionante progetto di rendere “domestico” il mondo», esclama: «La famiglia è alla base di questa cultura mondiale che ci salva da tanti attacchi, distruzioni, colonizzazioni, come quella del denaro o delle ideologie che minacciano il mondo. La famiglia è la base per difendersi!».
Proprio ieri, il Consiglio di nove cardinali («C9») voluto dal Papa ha definito la nascita di una nuova Congregazione che si occuperà di fedeli laici, famiglia e vita e assorbirà le competenze di due pontifici consigli: un «ministero» ad hoc che non è solo una semplificazione della Curia e dice tutta l’importanza che la questione ha per il Papa. Nel «C9», tra l’altro, si è discusso anche delle procedure per la nomina dei vescovi del mondo: il Papa — forse non convinto da alcune candidature — ha deciso che le procedure per raccogliere informazioni e sondare «qualità e requisiti dei candidati» dovranno essere aggiornate.

Gian Guido Vecchi 
Corriere della Sera © RIPRODUZIONE RISERVATA 

martedì 4 agosto 2015

La rivoluzione culturale di Olivetti


L’intervista

Parla Laura, figlia di Adriano: «Sento l’obbligo morale di continuare sulla strada che ha tracciato mio padre» Il sogno di “Ivrea, città industriale” nella lista Unesco. Oggi a Volterra riceverà il premio “Ombra della Sera”
di GIUSEPPE MATARAZZO

«Abbiamo portato in tutti i villaggi le nostre armi segrete: i libri, i corsi, le opere dell’ingegno e dell’arte. Noi crediamo nella virtù rivoluzionaria della cultura che dona all’uomo il suo vero potere». Così Adriano Olivetti riassumeva il senso della Fabbrica-Comunità e l’utopia (possibile) di un’economia che si muovesse verso un fine ben più alto dello sterile e crudo indice del profitto e aprisse invece la strada a un cammino di civiltà e di elevazione per tutti. Nello spirito dell’«umanesimo integrale» professato da Jacques Maritain che per l’imprenditore di Ivrea fu un fondamentale punto di riferimento ideologico. «La sfida di mio padre si è giocata su questo campo: su un radicale cambiamento di mentalità rispetto al mito del progresso e del profitto a tutti i costi sulla pelle dei lavoratori. Al contrario, la fabbrica era considerata uno strumento di crescita del territorio, per migliorare le condizioni di vita di tutti, con un welfare su misura, servizi, educazione e appunto, cultura», rilancia Laura Olivetti, figlia di Adriano, oggi alla guida della Fondazione che porta il suo nome, fondata nel 1962, due anni dopo la prematura scomparsa dell’imprenditore. «La fabbrica-comunità era il tentativo di una grande innovazione culturale, per le imprese, i lavoratori e tutti i soggetti attivi del territorio. E su questo terreno sento il dovere di continuare a testimoniare l’esperienza di mio padre». Olivetti è morto quando Laura aveva appena nove anni. Per lei la famiglia era la «Ditta». Un tutt’uno. «I miei ricordi arrivano ovviamente fino a un certo punto. Nel tempo ho ascoltato i racconti di chi è stato sempre vicino a mio padre; ho letto i carteggi, ho scavato in archivio e alla fine credo di aver ricostruito pienamente la sua figura. È stato un esercizio importante per riavvicinarmi a lui e alla mia famiglia. Prima di occuparmi della fondazione facevo altro, ero una ricercatrice di psicologia. Fu verso l’inizio degli anni Novanta che una serie di circostanze fecero scattare in me la sensazione che occuparmi della Fondazione fosse un obbligo morale. Erano gli anni dei grandi cambiamenti per l’azienda e avevo paura che la Fondazione potesse ridursi a una vestale del passato. Ho cercato allora di rimettere in sesto questa istituzione, per mille ragioni rimasta silente, e diffondere il valore culturale della storia di Olivetti. Poi nel luglio del 2003 il nome Olivetti venne fatto scomparire dallo scenario dell’impresa italiana, così la Fondazione è oggi di fatto l’unica realtà legata a triplo filo con quell’esperienza e deputata a valorizzare questi asset intangibili che si rivolgono al capitale umano».
In questa direzione va il lavoro divulgativo delle Edizioni di Comunità (dirette con vera passione dal figlio di Laura, Beniamino de’ Liguori Carino), con la pubblicazione dei discorsi, degli scritti e del pensiero di Adriano Olivetti. E poi c’è tutto il lavoro svolto nei territori, in particolare nei luoghi legati alla storia di Olivetti, per creare opportunità di crescita sociale: «A Roma, a Corviale, abbiamo coinvolto negli anni gli abitanti in operazioni che andavano dagli orti urbani alla creazione di Radio Cordiale – dice Laura Olivetti –. Abbiamo svolto un grande lavoro nel carcere di Bollate, con l’apertura di un asilo realizzato con criteri innovativi, dentro l’istituto, ma aperto al pubblico. Abbiamo svolto ricerche sullo stato dell’impresa nel canavese e ricostruito tutta la vicenda di mio padre in Basilicata, a Matera, che nel 2019 sarà capitale europea della cultura. Qui mio padre, negli anni Cinquanta portò avanti una delle sue scommesse più alte, insieme ad altri intellettuali e professionisti: fare della capitale dell’Italia contadina, nel Mezzogiorno descritto da Carlo Levi in Cristo si è fermato a Eboli un’altra Ivrea. Adesso stiamo chiudendo una convenzione con il comune di Pozzuoli, un altro sito simbolo della storia di Olivetti, per la diffusione del suo pensiero fra i giovani».
Un impegno, quello della Fondazione Adriano Olivetti che oggi pomeriggio sarà premiato con il riconoscimento “Ombra della Sera” per la cultura su segnalazione della Commissione nazionale italiana per l’Unesco, nell’ambito del Festival Internazionale del Teatro Romano di Volterra, insieme ad altre personalità dello spettacolo, dell’arte e del giornalismo. L’Unesco e la Lista dei siti Patrimonio dell’Umanità che sognano Olivetti e Ivrea, la cui candidatura è stata ufficializzata nel 2012 al termine di un lavoro di ricerca e valorizzazione avviato già nel 2008 con il Comitato nazionale per le celebrazioni del centenario della Società Olivetti. «Una traccia lunga quasi un secolo ha legato il nome Olivetti a Ivrea e al territorio canavesano unendo le vicende dell’impresa alla storia di questa terra – spiega Laura Olivetti, presentando il dossier –: “Ivrea, città industriale del XX secolo” pone all’attenzione dell’Unesco il modello di città industriale, elaborato a partire dagli anni Trenta da Adriano Olivetti e diventato poi progetto di comunità alternativo a quello proposto dallo sviluppo industriale del XX secolo. L’esempio di Ivrea rappresenta un’opportunità per sollecitare importanti riflessioni sui processi di innovazione sociale e di governance del territorio».
Di fronte alla crisi generata da una economia del profitto e della finanza speculativa e al senso di smarrimento generale che avvertiamo, la comunità, le fabbriche del bene, la città dell’uomo, la grande utopia inseguita da Adriano Olivetti sono da qualche anno un faro per chi sostiene un’economia dal volto umano. Il riconoscimento Unesco sarebbe la “certificazione” che tutto questo rappresenta un patrimonio dell’umanità. Ma questo ovviamente non basta. «Le sue erano idee troppo innovative, e per questo aveva anche molti nemici che lo osteggiavano fortemente. Quando è scomparso è stato anche dimenticato. Da qualche anno, con la crisi che stiamo vivendo, c’è una riscoperta». Se chiediamo a Laura Olivetti quale degli insegnamenti di suo padre si sente di indicare come “inizio”, la risposta è un invito a guardarci dentro, fino in fondo: «Mio padre ha fatto quello che ha fatto, perché era una persona buona. Veramente buona. Può sembrare una diminutio, ma è il cuore della sua testimonianza». Adriano Olivetti era un testimone autentico e per questo oggi le sue idee sono credibili. Le sue idee partivano da un animo nobile. «Ogni esempio è irripetibile – continua –: Ivrea è Ivrea. Ma ci sono altre realtà e imprese in Italia che operano con responsabilità sociale e una straordinaria attenzione al territorio». Il sogno di Olivetti può continuare.

(da Avvenire del 1° agosto 2015)© RIPRODUZIONE RISERVATA

lunedì 27 luglio 2015

Fatica straniera e invisibile


L’ALTRO VOLTO, ANCHE MORTALE, DELL’IMMIGRAZIONE
di Francesco Riccardi

Sono l’altro volto dell’immigrazione, quello che fatichiamo a vedere. Braccianti sfruttati nei campi della Puglia, della Sicilia e perfino delle Langhe piemontesi. Neri africani e marocchini, polacchi e romeni, uomini e donne oggetto delle peggiori angherie nelle nostre campagne. In questi giorni arroventati finiscono pure per morirne, schiantati da caldo e fatica. Come Mohamed, sudanese di 47 anni, deceduto lunedì mentre raccoglieva pomodori a Nardò, sotto il sole a picco, con una bottiglia d’acqua già vuota a metà mattina. Quel lavoro, presso una famiglia con qualche ettaro di terra, glielo aveva procurato un suo connazionale, il caporale, oggi sotto inchiesta per omicidio colposo assieme ai proprietari dell’azienda agricola.
Non certo un caso isolato, quello di Mohamed. I lavoratori extra e neocomunitari impiegati in maniera irregolare sono decine di migliaia, denunciano da tempo i sindacati. E la gran parte di loro non sta nascosta in qualche capannone isolato, ma piega la schiena alla luce del sole nei campi e fra le serre del Mezzogiorno, del Centro e pure in alcune zone del Nord. Uomini e donne pagati dai 2 ai 5 euro l’ora per raccogliere quel che la terra dà a seconda della stagione. La sera, poi, sono ancora più visibili, perché non hanno casa e occupano tuguri di campagna – per il cui 'affitto' viene loro trattenuta una parte della magra paga – o formano tendopoli sotto gli alberi. Eppure fatichiamo a vederli, questi esseri umani. Ci sono interi centri, in particolare al Sud, la cui economia è strutturalmente basata sullo sfruttamento della manodopera straniera. Di solito funziona così: c’è un proprietario che assume in maniera 'regolare' dei braccianti tutti rigorosamente italiani oppure forma una (falsa) cooperativa. Poi, molti di questi nostri connazionali si 'trasformano' in disoccupati e incassano dall’Inps la relativa indennità. Nei campi, con 40 gradi, vanno invece gli stranieri raccolti e organizzati dai vari caporali. Paga in nero, nessun diritto, orari dall’alba al tramonto. 'E zitti!' perché c’è il caso di finire ammazzati a bastonate, come accaduto ad alcuni operai polacchi qualche anno fa. Tolto il caldo da record, non c’è nulla di nuovo – purtroppo – nei drammi che si consumano in questi giorni nelle nostre campagne. Sono situazioni che la magistratura, le forze dell’ordine, gli organi preposti ai controlli conoscono benissimo. Che tutti noi conosciamo, in realtà. Soprattutto chi abita nei piccoli paesi agricoli.
Solo che soffriamo di questa strana, maledetta miopia. Vediamo bene, e giustamente ci indigniamo, per gli stranieri tenuti a ciondolare nei centri d’accoglienza senza aver nulla da fare. Ma gli altri, quelli che stanno nei nostri campi e nelle nostre serre, non riusciamo proprio a scorgerli. Non ci indignano, loro, neppure se muoiono sotto il sole. Non valgono neanche un materasso da bruciare.

(da Avvenire del 24 luglio 2015)© RIPRODUZIONE RISERVATA