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mercoledì 30 maggio 2012

Il ciclo del denaro - 5° puntata

Attraverso la newsletter di "Rifondazione Comunista" ci giunge un articolo a firma Marco Bersani e pubblicato sul sito di Attac Italia


Mi permetto di estrarre, per comodità nostra, i brani che ci aiutano di più a comprendere i poco trasparenti meccanismi della finanza. Eccoli qua:

Dodici milioni di persone affidano i propri risparmi a Poste Italiane, attraverso i libretti di risparmio e i buoni fruttiferi. La massa di questi risparmi viene raccolta dalla Cassa Depositi e Prestiti, che, fin dalla sua nascita, la utilizzava per permettere agli enti locali territoriali di poter fare investimenti con mutui a tasso agevolato. Nel 2003, la Cassa Depositi e Prestiti è stata tramutata in società per azioni e nel suo capitale societario sono entrate (30%) le fondazioni bancarie. Da allora, la Cassa Depositi e Prestiti si è progressivamente trasformata in una merchant bank che continua a finanziare gli enti locali, ma a tassi di mercato e che investe in diversi fondi con finalità di profitto. La massa di denaro mossa annualmente dalla Cassa Deposti e Prestiti è enorme: circa 250 miliardi di euro, con una liquidità disponibile di quasi 130 miliardi di euro; si tratta di gran lunga della “banca” più solida e nello stesso tempo più “liquida” del Paese.

La natura di bene comune della Cassa Depositi e Prestiti risulta evidente dalla provenienza del suo ingente patrimonio, che per oltre l’80% deriva dalla raccolta postale, ovvero è il frutto del risparmio dei lavoratori e dei cittadini italiani. Tale natura è del resto anche giuridicamente sostenuta dall’art.10 del D. M. Economia del 6 ottobre 2004 (decreto attuativo della trasformazione della Cassa Depositi e Prestiti in società per azioni ) che così recita: «I finanziamenti della Cassa Depositi e Prestiti rivolti a Stato, Regioni, Enti Locali, enti pubblici e organismi di diritto pubblico, costituiscono servizio di interesse economico generale».

Nonostante ciò, con la trasformazione in SpA della Cassa Depositi e Prestiti, l'attività di finanziamento degli investimenti degli enti pubblici deve avvenire assicurando un adeguato ritorno economico agli azionisti. Come recita l’art. 30 dello Statuto della società «Gli utili netti annuali risultanti dal bilancio (..) saranno assegnati (..) alle azioni ordinarie e privilegiate in proporzione al capitale da ciascuna di esse rappresentato». E la relazione annuale societaria, relativa al 2010, dichiara con soddisfazione la chiusura del bilancio con un utile netto di 2,7 miliardi di euro, nonché il fatto di aver garantito agli azionisti, dall’avvenuta privatizzazione ad oggi, un rendimento medio annuo superiore al 13%. Se l’unità di misura delle scelte di investimento è la redditività economica delle stesse, è evidente il conflitto di interesse rispetto alla loro qualifica di servizio di primario interesse pubblico.

Paradossale appare il fatto che siano state proprio le fondazioni bancarie quelle chiamate a partecipare al capitale sociale della nuova società per azioni. Le fondazioni bancarie sono spesso i principali azionisti delle banche di riferimento, con le quali la Cassa Depositi e Prestiti fino ad allora competeva, fornendo agli enti pubblici risorse finanziarie a condizioni più convenienti. Sarà forse un caso che da allora, attraverso una scelta di elevati tassi di interesse sui mutui accesi, le condizioni di finanziamento privilegiato da sempre rivolte agli enti pubblici siano progressivamente svanite, spalancando le porte degli stessi all’indebitamento coi mercati finanziari?

Se più dell’80% delle entrate della CDP SpA deriva dal risparmio dei lavoratori e dei cittadini, si pongono problemi rilevanti di diritto all’informazione e di diritto alla partecipazione alle scelte di destinazione degli investimenti. Se infatti per 150 anni la destinazione al finanziamento degli investimenti degli enti locali territoriali era scontata (e tacitamente condivisa dai cittadini “prestatori”), con la trasformazione di Cassa Depositi e Prestiti in società per azioni nasce una questione ineludibile di democrazia partecipativa: i lavoratori e i cittadini devono avere voce sulla destinazione dei soldi prestati e partecipare all’indirizzo delle scelte sugli investimenti da intraprendere, ad esempio ponendo vincoli di destinazione a finalità sociali ed ambientali degli stessi.

I temi della riappropriazione sociale dell’acqua e dei beni comuni da una parte e di una nuova finanza pubblica dall’altra sono fra loro strettamente connessi: chiedendo la ripubblicizzazione del servizio idrico integrato, il movimento per l’acqua afferma le necessità di una nuova fiscalità generale e di nuovi strumenti di finanza pubblica; allo stesso modo, la rivendicazione di una nuova finanza pubblica rimanda immediatamente a beni comuni da affermare come indisponibili al mercato e a servizi pubblici di qualità da garantire a tutte e tutti. Riappropriarsi collettivamente dei beni comuni, ivi compreso il denaro pubblico, diviene la condizione indispensabile per poter immaginare un'uscita dalla crisi che renda effettiva la ripubblicizzazione di beni comuni come l’acqua, realizzando concretamente quanto deciso dalla maggioranza assoluta del popolo italiano con la straordinaria vittoria referendaria del giugno 2011.

Fra pochi giorni sarà passato un anno da quella straordinaria affermazione di civiltà che fu il referendum sui beni comuni: come pensiamo di celebrarlo?

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