In natura c'è un principio di bene relativo.
La luce è luce rispetto alle tenebre.
Il pieno della materia è tale rispetto al vuoto dello spazio.
Il tempo scorre rispetto all'eternità.
Il movimento si oppone alla stasi.
La vita alla morte.
Fate caso: riusciamo a spiegare bene l'assenza senza poter spiegare da dove nasce la presenza.
Per esempio: sappiamo spiegare bene cosa è il vuoto e diciamo che è "assenza di materia", ma non siamo in grado (nessuno scienziato o filosofo fin'ora è stato in grado) di spiegare cos'è la materia.
Lo stesso diciamo delle tenebre: "assenza di radiazione luminosa", ma quanto a spiegare cos'è la radiazione luminosa ... rimane un mistero!
Così è della malattia come "assenza di salute" e della morte come "assenza di vita" o "fine di vita".
Detto questo, faccio uno stacco, ma è solo apparente.
Bisognerebbe guardare di più alla società umana come un sottoinsieme (anche minuscolo) del sistema terrestre-solare-cosmico.
Questa è la chiamata alla conversione contenuta nell'Enciclica «Laudato si'» di Papa Francesco.
Conversione ecologica che potrei riassumere con questa esortazione: "non posso dire di amare sinceramente il mio prossimo se non amo l'ambiente in cui vive".
Sembra, a tutti gli effetti, un terzo comandamento ... che è simile ai primi due, contenuti nella Bibbia e, in particolare, nei Vangeli!
Ma questa esortazione non è contenuta nella Bibbia, né nei Vangeli, per cui ritengo che ci troviamo di fronte a qualcosa di veramente NUOVO, qualcosa di nuovo anche rispetto al Nuovo Testamento.
Il Cristianesimo, nella mia visione, non è una religione tradizionale, una tra le tante, è una religione cosmica: unione di umano e divino in Gesù Cristo, figlio di Dio e di Maria di Nazaret.
Il Cristianesimo è una religione universale, abbraccia tutte le fedi e tutte le culture, tutti i popoli e tutte le nazioni, e fornisce implicitamente le risposte a tutte le domande sul senso della vita, le domande che gli scienziati e i filosofi si pongono fin da quando hanno iniziato la loro millenaria ricerca.
Verrà il tempo in cui l'umanità si renderà conto di quale tesoro di conoscenza sia contenuto nella tradizione orale e scritta della religione cristiana.
Quella cosmica intendo, non quella cattolica, che è ancora ferma al primo o, al massimo, al secondo comandamento!
"io decido X Albignasego" è il nome del movimento civico che vuol dare la parola ai cittadini di Albignasego, comune della provincia di Padova ... e non solo!
domenica 20 dicembre 2015
venerdì 18 dicembre 2015
A proposito di salvataggi delle banche ...
IV. POLITICA ED ECONOMIA IN DIALOGO PER LA PIENEZZA UMANA
189. La politica non deve sottomettersi all’economia e questa non deve sottomettersi ai dettami e al paradigma efficientista della tecnocrazia. Oggi, pensando al bene comune, abbiamo bisogno in modo ineludibile che la politica e l’economia, in dialogo, si pongano decisamente al servizio della vita, specialmente della vita umana. Il salvataggio ad ogni costo delle banche, facendo pagare il prezzo alla popolazione, senza la ferma decisione di rivedere e riformare l’intero sistema, riafferma un dominio assoluto della finanza che non ha futuro e che potrà solo generare nuove crisi dopo una lunga, costosa e apparente cura. La crisi finanziaria del 2007-2008 era l’occasione per sviluppare una nuova economia più attenta ai principi etici, e per una nuova regolamentazione dell’attività finanziaria speculativa e della ricchezza virtuale. Ma non c’è stata una reazione che abbia portato a ripensare i criteri obsoleti che continuano a governare il mondo. La produzione non è sempre razionale, e spesso è legata a variabili economiche che attribuiscono ai prodotti un valore che non corrisponde al loro valore reale. Questo determina molte volte una sovrapproduzione di alcune merci, con un impatto ambientale non necessario, che al tempo stesso danneggia molte economie regionali.[133] La bolla finanziaria di solito è anche una bolla produttiva. In definitiva, ciò che non si affronta con decisione è il problema dell’economia reale, la quale rende possibile che si diversifichi e si migliori la produzione, che le imprese funzionino adeguatamente, che le piccole e medie imprese si sviluppino e creino occupazione, e così via.
189. La politica non deve sottomettersi all’economia e questa non deve sottomettersi ai dettami e al paradigma efficientista della tecnocrazia. Oggi, pensando al bene comune, abbiamo bisogno in modo ineludibile che la politica e l’economia, in dialogo, si pongano decisamente al servizio della vita, specialmente della vita umana. Il salvataggio ad ogni costo delle banche, facendo pagare il prezzo alla popolazione, senza la ferma decisione di rivedere e riformare l’intero sistema, riafferma un dominio assoluto della finanza che non ha futuro e che potrà solo generare nuove crisi dopo una lunga, costosa e apparente cura. La crisi finanziaria del 2007-2008 era l’occasione per sviluppare una nuova economia più attenta ai principi etici, e per una nuova regolamentazione dell’attività finanziaria speculativa e della ricchezza virtuale. Ma non c’è stata una reazione che abbia portato a ripensare i criteri obsoleti che continuano a governare il mondo. La produzione non è sempre razionale, e spesso è legata a variabili economiche che attribuiscono ai prodotti un valore che non corrisponde al loro valore reale. Questo determina molte volte una sovrapproduzione di alcune merci, con un impatto ambientale non necessario, che al tempo stesso danneggia molte economie regionali.[133] La bolla finanziaria di solito è anche una bolla produttiva. In definitiva, ciò che non si affronta con decisione è il problema dell’economia reale, la quale rende possibile che si diversifichi e si migliori la produzione, che le imprese funzionino adeguatamente, che le piccole e medie imprese si sviluppino e creino occupazione, e così via.
190. In questo contesto bisogna sempre
ricordare che «la protezione ambientale non può essere assicurata solo
sulla base del calcolo finanziario di costi e benefici. L’ambiente è uno
di quei beni che i meccanismi del mercato non sono in grado di
difendere o di promuovere adeguatamente».[134]
Ancora una volta, conviene evitare una concezione magica del mercato,
che tende a pensare che i problemi si risolvano solo con la crescita dei
profitti delle imprese o degli individui. È realistico aspettarsi che
chi è ossessionato dalla massimizzazione dei profitti si fermi a pensare
agli effetti ambientali che lascerà alle prossime generazioni?
All’interno dello schema della rendita non c’è posto per pensare ai
ritmi della natura, ai suoi tempi di degradazione e di rigenerazione, e
alla complessità degli ecosistemi che possono essere gravemente alterati
dall’intervento umano. Inoltre, quando si parla di biodiversità, al
massimo la si pensa come una riserva di risorse economiche che potrebbe
essere sfruttata, ma non si considerano seriamente il valore reale delle
cose, il loro significato per le persone e le culture, gli interessi e
le necessità dei poveri.
Dalla «Laudato si'» di Papa Francesco
domenica 13 dicembre 2015
"Io sono d'oro" di Gabriele Policardo
Una cara amica su facebook mi ha fatto conoscere Gabriele Policardo.
La ringrazio molto per questo!
Gabriele Policardo è un esperto di vita.
Autore, compositore, regista, ha studiato e praticato varie discipline spirituali, tra cui Radioestesia e pulizia dell'aura, i corsi di Cesare Boni sulla morte, la mente e i sette stati di coscienza, l'Angelologia di Igor Sibaldi, la Nuova Medicina con Ryke Geerd Hamer. È allievo di Bert Hellinger e conduce in tutta Italia seminari di Costellazioni Familiari e Sistemiche e seminari di nuove Costellazioni Spirituali. Il nucleo della sua ricerca verte intorno alle relazioni disfunzionali, ai conflitti, ai sintomi fisici e psichici come movimento dell’Anima, ai fenomeni prenatali e perinatali, come la sindrome del gemello scomparso. Studia lo Shivaismo del Kashmir, il Vedanta, i santi-poeti e la cultura indiana. Pratica Siddha Yoga dal 2007.
Di recente (2014) ha pubblicato
Ne trovate un assaggio qui:
http://reader.ilmiolibro.kataweb.it/v/1108191/io-sono-doro_1108191
e questo è un articolo dal suo blog che, anche se non è aggiornatissimo, è comunque interessante:
http://gabrielepolicardo.blogspot.it/2015/07/lamore-che-cambia.html
La ringrazio molto per questo!
Gabriele Policardo è un esperto di vita.
Autore, compositore, regista, ha studiato e praticato varie discipline spirituali, tra cui Radioestesia e pulizia dell'aura, i corsi di Cesare Boni sulla morte, la mente e i sette stati di coscienza, l'Angelologia di Igor Sibaldi, la Nuova Medicina con Ryke Geerd Hamer. È allievo di Bert Hellinger e conduce in tutta Italia seminari di Costellazioni Familiari e Sistemiche e seminari di nuove Costellazioni Spirituali. Il nucleo della sua ricerca verte intorno alle relazioni disfunzionali, ai conflitti, ai sintomi fisici e psichici come movimento dell’Anima, ai fenomeni prenatali e perinatali, come la sindrome del gemello scomparso. Studia lo Shivaismo del Kashmir, il Vedanta, i santi-poeti e la cultura indiana. Pratica Siddha Yoga dal 2007.
Di recente (2014) ha pubblicato
IO SONO D'ORO
IL VALORE DELLA DONNA NELLA RELAZIONE
Ne trovate un assaggio qui:
http://reader.ilmiolibro.kataweb.it/v/1108191/io-sono-doro_1108191
e questo è un articolo dal suo blog che, anche se non è aggiornatissimo, è comunque interessante:
http://gabrielepolicardo.blogspot.it/2015/07/lamore-che-cambia.html
martedì 8 dicembre 2015
The invitation
Non mi interessa che cosa fai per guadagnarti da vivere,
voglio sapere che cosa strugge il tuo cuore
e se hai il coraggio di sognare
l’incontro con ciò che esso desidera.
Non mi interessa quanti anni hai,
voglio sapere se rischierai di sembrare ridicolo per amore,
per i tuoi sogni,
per l’avventura di essere vivo.
Non mi interessa quali pianeti
sono in quadratura con la tua luna,
voglio sapere se hai toccato
il centro del tuo dolore,
se le difficoltà della vita
ti hanno portato ad aprirti
oppure a chiuderti per paura di soffrire ancora.
Voglio sapere se puoi sopportare il dolore,
mio o tuo,
senza far nulla per nasconderlo,
per allontanarlo o cristallizzarlo.
Voglio sapere se puoi vivere
con la gioia, mia o tua;
se puoi danzare con la natura
e lasciare che l’estasi ti pervada
dalla testa ai piedi senza chiedere di essere
attenti, di essere realistici o di ricordare i
limiti dell’essere umani.
Non mi interessa se la storia che racconti è vera,
voglio sapere se sei capace di
deludere qualcuno per restare fedele a te stesso;
se riesci a sopportare l’accusa
di tradimento senza tradire la tua anima.
Voglio sapere se puoi essere di parola
e quindi degno di fiducia.
Voglio sapere se sei capace
di trovare la bellezza anche nei giorni in cui il sole non
splende e se puoi ricavare vita dalla Sua presenza.
Voglio sapere se riesci a
vivere con il fallimento, mio e tuo,
e comunque rimanere in riva a un lago
e gridare alla luna piena d’argento:
“Sì!”
Non mi interessa sapere dove
vivi o quanti soldi hai,
voglio sapere se riesci
ad alzarti dopo una notte
di dolore e di disperazione,
sfinito e profondamente ferito
e fare ugualmente quello che devi
per i tuoi figli.
Non mi interessa
chi sei e come sei arrivato qui,
voglio sapere se rimani al centro
del fuoco con me senza ritirarti.
Non mi interessa dove
o che cosa o con chi hai studiato,
voglio sapere che cosa ti sostiene da dentro,
quando tutto il resto viene a mancare.
Voglio sapere se riesci a stare da solo con te
stesso e se la tua compagnia
ti piace veramente nei momenti di vuoto.
By Oriah © Mountain Dreaming,
from the book The Invitation
published by HarperONE, San Francisco,
1999 All rights reserved
venerdì 20 novembre 2015
LA NINNA NANNA DE LA GUERRA
Trilussa
LA NINNA NANNA DE LA GUERRA
(1914)
Ninna nanna, nanna ninna,
er pupetto vò la zinna:
dormi, dormi, cocco bello,
sennò chiamo Farfarello
Farfarello e Gujermone
che se mette a pecorone,
Gujermone e Ceccopeppe
che se regge co le zeppe,
co le zeppe d'un impero
mezzo giallo e mezzo nero.
Ninna nanna, pija sonno
ché se dormi nun vedrai
tante infamie e tanti guai
che succedeno ner monno
fra le spade e li fucili
de li popoli civili
Ninna nanna, tu nun senti
li sospiri e li lamenti
de la gente che se scanna
per un matto che commanna;
che se scanna e che s'ammazza
a vantaggio de la razza
o a vantaggio d'una fede
per un Dio che nun se vede,
ma che serve da riparo
ar Sovrano macellaro.
Chè quer covo d'assassini
che c'insanguina la terra
sa benone che la guerra
è un gran giro de quatrini
che prepara le risorse
pe li ladri de le Borse.
Fa la ninna, cocco bello,
finchè dura sto macello:
fa la ninna, chè domani
rivedremo li sovrani
che se scambieno la stima
boni amichi come prima.
So cuggini e fra parenti
nun se fanno comprimenti:
torneranno più cordiali
li rapporti personali.
E riuniti fra de loro
senza l'ombra d'un rimorso,
ce faranno un ber discorso
su la Pace e sul Lavoro
pe quer popolo cojone
risparmiato dar cannone!
LA NINNA NANNA DE LA GUERRA
(1914)
Ninna nanna, nanna ninna,
er pupetto vò la zinna:
dormi, dormi, cocco bello,
sennò chiamo Farfarello
Farfarello e Gujermone
che se mette a pecorone,
Gujermone e Ceccopeppe
che se regge co le zeppe,
co le zeppe d'un impero
mezzo giallo e mezzo nero.
Ninna nanna, pija sonno
ché se dormi nun vedrai
tante infamie e tanti guai
che succedeno ner monno
fra le spade e li fucili
de li popoli civili
Ninna nanna, tu nun senti
li sospiri e li lamenti
de la gente che se scanna
per un matto che commanna;
che se scanna e che s'ammazza
a vantaggio de la razza
o a vantaggio d'una fede
per un Dio che nun se vede,
ma che serve da riparo
ar Sovrano macellaro.
Chè quer covo d'assassini
che c'insanguina la terra
sa benone che la guerra
è un gran giro de quatrini
che prepara le risorse
pe li ladri de le Borse.
Fa la ninna, cocco bello,
finchè dura sto macello:
fa la ninna, chè domani
rivedremo li sovrani
che se scambieno la stima
boni amichi come prima.
So cuggini e fra parenti
nun se fanno comprimenti:
torneranno più cordiali
li rapporti personali.
E riuniti fra de loro
senza l'ombra d'un rimorso,
ce faranno un ber discorso
su la Pace e sul Lavoro
pe quer popolo cojone
risparmiato dar cannone!
lunedì 16 novembre 2015
Chi sono gli aderenti all'ISIS?
Per combattere un nemico evanescente, ma deciso, non bastano le parole roboanti e le minacce, che svaniscono nel nulla se non si conosce a fondo la natura più intima del nemico.
Identificare l'ISIS come "Stato islamico" e coinvolgere l'intero Islam nell'identificazione terroristica, peggiora le condizioni di difesa favorendo la tecnica aggressiva che usa come paravento la religione islamica; l'Islam moderato dovrebbe essere l'alleato privilegiato per combattere tali estremismi.
Conoscere il nemico da combattere diventa imperativo, perché si tratta di un nemico del quale si ignora tutto, tranne gli effetti disastrosi che è in grado di promuovere.
Cominciamo con il dire che non si tratta di uno Stato Islamico e che non si tratta di gruppi isolati, occasionalmente uniti. Non si tratta di Stato Islamico perché non sono islamici e la loro Costituzione non è "Il Corano" in quanto sono ben lontani dal seguirne i precetti, come:
"Ad ogni comunità abbiamo indicato un culto da osservare. E non polemizzino con te in proposito."
Corano Sura XXII Al Hajj (Il Pellegrinaggio 67-32)
Versetto che invita alla tolleranza dei riti delle altre comunità religiose.
Stante la loro collocazione geopolitica, possiamo dedurre che si tratta di Hashashin, termine che fa riferimento ad una delle più antiche sette religiose sorte nel MedioEvo, come interpretazione distorta dell'Islam Coranico; dalla loro identificazione scaturisce il termine "Assassini", perché dediti ad omicidi efferati. Il termine significa "Consumatori di hashish", droga devastante che si ottiene dalla canapa indiana.
Setta fondata dall'emiro Isma'il ibu Gia'far, infatti la loro prima identificazione li chiama Isma'iliti, da non confondere con Ismaeliti, che identifica tutto il mondo arabo-semita, discendente da Ismaele, figlio di Abramo e della schiava Agar.
Ciò che si ignora è la struttura interna di tale setta, che si tramanda dal tempo delle crociate; come ogni setta ha un capo assoluto, Djebal, o Gran Maestro, meglio conosciuto come Il Veglio della Montagna, con prerogative di Monarca assoluto; ruolo adesso ricoperto da Abu Bakr al-Baghdadi.
La setta nacque durante le Crociate e lo scopo era lo stesso degli Ordini dei Cavalieri occidentali: difendere il Santo Sepolcro; dai Cristiani, però. Quindi la loro origine non è lontana dai capisaldi delle Sacre Scritture, con la venerazione di Abramo, la loro discendenza dal figlio di Abramo Ismaele, la difesa del Santo Sepolcro minacciato dalle crociate, con particolare riferimento allordine cavalleresco dei Teutonici dai quali appresero la gerarchia interna composta da Gran Maestro, Grande Priore, Priore, frate, scudiero, che in arabo diventa Djebal, Sheik, Daiikebir, dais.
Fu Federico II ad avere maggiori rapporti con gli Ismailiti, già diventati Hashashin, quando si decise a fare la Crociata che il Pontefice gli ordinava; mantenne con loro rapporti diplomatici e permise loro di praticare la loro religione a Gerusalemme, città della quale Federico si era proclamato imperatore.
La setta fu sempre selettiva nell'accettazione di nuovi adepti, che dovevano praticare la più assoluta dedizione al "Veglio"; ai giovani, una volta entrati a farne parte, non era più consentito uscirne.
Gli storici hanno sempre condiviso l'idea che alla base della fedeltà al "Veglio", ci fosse l'uso e l'abuso di sostanze come l'hashish, che schiavizza i seguaci, rendendoli sempre più dipendenti dal Gran Maestro.
Il momento storico che li rese famosi è legato al sultano (Djebal), Aloylin, una figura inquietante, dispotica, sadica e crudele.
La storia ci dice che, per legare sempre più a sé i giovani adepti, egli ricorresse ad un espediente profondamente ingannevole. Li drogava con hashish e li faceva vivere per qualche giorno in un luogo di delizie ed incanti, serviti e riveriti da belle fanciulle pronte ad assecondarli in ogni richiesta. Passato l'effetto della droga, i giovani credevano davvero di essere stati in Paradiso, finendo in tal modo di cadere completamente in balia dell'infido Gran Maestro.
Annullata ogni loro volontà e personalità, i giovani adepti erano pronti ad eseguire qualunque ordine del Sultano, per tornare in quel "Paradiso".
Perfino uccidere o uccidersi.
La tradizione conferma che il sultano (Djebal), per dimostrare ai suoi ospiti occidentali la fedeltà dei suoi guerrieri, offriva loro uno spettacolo agghiacciante: ordinava ad alcuni di loro di gettarsi giù dall'alto della fortezza e sfracellarsi sulle rocce sottostanti.
Ordine che i giovani eseguivano con grida di gioia, convinti di tornare in quel Paradiso che avevano conosciuto sotto l'effetto della droga.
Tale metodo si ripete anche oggi, perché solo drogati, svuotati di una propria volontà, possono accettare di sacrificarsi, uccidendo e suicidandosi.
Come con tutte le organizzazioni criminali, per riuscire nell'intento di smascherare questi terroristi, si dovrebbe inseguire la via del denaro e della droga, degli scambi con denaro contro petrolio di contrabbando, acquistato da petrolieri senza scrupoli, nonché lo scambio tra droga e armi, gestito dalle mafie che lucrano sia con le armi che con i pani di droga ottenuti in cambio.
Rosario Amico Roxas
Identificare l'ISIS come "Stato islamico" e coinvolgere l'intero Islam nell'identificazione terroristica, peggiora le condizioni di difesa favorendo la tecnica aggressiva che usa come paravento la religione islamica; l'Islam moderato dovrebbe essere l'alleato privilegiato per combattere tali estremismi.
Conoscere il nemico da combattere diventa imperativo, perché si tratta di un nemico del quale si ignora tutto, tranne gli effetti disastrosi che è in grado di promuovere.
Cominciamo con il dire che non si tratta di uno Stato Islamico e che non si tratta di gruppi isolati, occasionalmente uniti. Non si tratta di Stato Islamico perché non sono islamici e la loro Costituzione non è "Il Corano" in quanto sono ben lontani dal seguirne i precetti, come:
"Ad ogni comunità abbiamo indicato un culto da osservare. E non polemizzino con te in proposito."
Corano Sura XXII Al Hajj (Il Pellegrinaggio 67-32)
Versetto che invita alla tolleranza dei riti delle altre comunità religiose.
Stante la loro collocazione geopolitica, possiamo dedurre che si tratta di Hashashin, termine che fa riferimento ad una delle più antiche sette religiose sorte nel MedioEvo, come interpretazione distorta dell'Islam Coranico; dalla loro identificazione scaturisce il termine "Assassini", perché dediti ad omicidi efferati. Il termine significa "Consumatori di hashish", droga devastante che si ottiene dalla canapa indiana.
Setta fondata dall'emiro Isma'il ibu Gia'far, infatti la loro prima identificazione li chiama Isma'iliti, da non confondere con Ismaeliti, che identifica tutto il mondo arabo-semita, discendente da Ismaele, figlio di Abramo e della schiava Agar.
Ciò che si ignora è la struttura interna di tale setta, che si tramanda dal tempo delle crociate; come ogni setta ha un capo assoluto, Djebal, o Gran Maestro, meglio conosciuto come Il Veglio della Montagna, con prerogative di Monarca assoluto; ruolo adesso ricoperto da Abu Bakr al-Baghdadi.
La setta nacque durante le Crociate e lo scopo era lo stesso degli Ordini dei Cavalieri occidentali: difendere il Santo Sepolcro; dai Cristiani, però. Quindi la loro origine non è lontana dai capisaldi delle Sacre Scritture, con la venerazione di Abramo, la loro discendenza dal figlio di Abramo Ismaele, la difesa del Santo Sepolcro minacciato dalle crociate, con particolare riferimento allordine cavalleresco dei Teutonici dai quali appresero la gerarchia interna composta da Gran Maestro, Grande Priore, Priore, frate, scudiero, che in arabo diventa Djebal, Sheik, Daiikebir, dais.
Fu Federico II ad avere maggiori rapporti con gli Ismailiti, già diventati Hashashin, quando si decise a fare la Crociata che il Pontefice gli ordinava; mantenne con loro rapporti diplomatici e permise loro di praticare la loro religione a Gerusalemme, città della quale Federico si era proclamato imperatore.
La setta fu sempre selettiva nell'accettazione di nuovi adepti, che dovevano praticare la più assoluta dedizione al "Veglio"; ai giovani, una volta entrati a farne parte, non era più consentito uscirne.
Gli storici hanno sempre condiviso l'idea che alla base della fedeltà al "Veglio", ci fosse l'uso e l'abuso di sostanze come l'hashish, che schiavizza i seguaci, rendendoli sempre più dipendenti dal Gran Maestro.
Il momento storico che li rese famosi è legato al sultano (Djebal), Aloylin, una figura inquietante, dispotica, sadica e crudele.
La storia ci dice che, per legare sempre più a sé i giovani adepti, egli ricorresse ad un espediente profondamente ingannevole. Li drogava con hashish e li faceva vivere per qualche giorno in un luogo di delizie ed incanti, serviti e riveriti da belle fanciulle pronte ad assecondarli in ogni richiesta. Passato l'effetto della droga, i giovani credevano davvero di essere stati in Paradiso, finendo in tal modo di cadere completamente in balia dell'infido Gran Maestro.
Annullata ogni loro volontà e personalità, i giovani adepti erano pronti ad eseguire qualunque ordine del Sultano, per tornare in quel "Paradiso".
Perfino uccidere o uccidersi.
La tradizione conferma che il sultano (Djebal), per dimostrare ai suoi ospiti occidentali la fedeltà dei suoi guerrieri, offriva loro uno spettacolo agghiacciante: ordinava ad alcuni di loro di gettarsi giù dall'alto della fortezza e sfracellarsi sulle rocce sottostanti.
Ordine che i giovani eseguivano con grida di gioia, convinti di tornare in quel Paradiso che avevano conosciuto sotto l'effetto della droga.
Tale metodo si ripete anche oggi, perché solo drogati, svuotati di una propria volontà, possono accettare di sacrificarsi, uccidendo e suicidandosi.
Come con tutte le organizzazioni criminali, per riuscire nell'intento di smascherare questi terroristi, si dovrebbe inseguire la via del denaro e della droga, degli scambi con denaro contro petrolio di contrabbando, acquistato da petrolieri senza scrupoli, nonché lo scambio tra droga e armi, gestito dalle mafie che lucrano sia con le armi che con i pani di droga ottenuti in cambio.
Rosario Amico Roxas
martedì 10 novembre 2015
Due storie di ordinario degrado
Soranzo si rivolge al vescovo per risolvere il nodo ex seminario
Da "Il Mattino di Padova" di Martedì 10 Novembre 2015
SELVAZZANO Il sindaco di
Selvazzano Enoch Soranzo chiede un incontro urgente al neo vescovo della
Diocesi di Padova, don Claudio Cipolla, per discutere dei problemi
dell’ex Seminario di Tencarola. In primis le pendenze economiche
relative alle imposte (Ici e Imu per circa 2,5 milioni di euro) che
secondo il primo cittadino la Curia padovana deve da anni al Comune di
Selvazzano. In seconda battuta il problema della sicurezza all’interno
del complesso in stato di abbandono, che continua a mantenere viva la
preoccupazione dei cittadini di Tencarola e San Domenico (l’ultimo
allarme incendio è scattato domenica mattina). Ma non solo questo.
«Circola sul web la notizia che ci sarebbero degli operatori che
organizzano visite guidate in luoghi in stato di abbandono e, tra
questi, c’è anche l’ex seminario di via Monte Grappa», afferma Soranzo
«Questa scoperta mi ha fatto davvero arrabbiare e voglio sapere dal
vescovo se ne sa qualcosa, visto che sul sito di questa organizzazione
sono state postate delle foto che testimoniano che sono entrati nella
struttura. Ma come, al Comune e alle forze di polizia è stato
categoricamente vietato di accedere senza previo consenso della
proprietà e poi scopro che altri si sono introdotti senza alcun
problema?». Nella missiva inviata nelle ultime ore in Curia, Soranzo
chiede al vescovo un incontro urgente al fine di definire una volta per
tutte una questione, quella della sicurezza all’interno del sito, che si
protrae da anni e che ultimamente è stata motivo di frizioni e
polemiche tra i rappresentati dell’Ente Seminario e i consiglieri
comunali, soprattutto di maggioranza, che sollecitano l’ente religioso a
fare la propria parte. «Recentemente, come presidente della Provincia
ho avuto modo di conoscere sua eminenza il Vescovo e mi ha fatto
un’ottima impressione», aggiunge il sindaco «Ho apprezzato il modo con
cui affronta i problemi. Confido che don Cipolla ci sia di aiuto per
venire a capo di una vicenda che ai selvazzanesi sta molto a cuore». Il
sito in cui il blogger ha inserito anche l’ex seminario di Tencarola tra
i luoghi in stato di abbandono è: sbilanciamento.blogspot.it. Vengono
indicate vecchie ville, ex discoteche e monumenti in stato di degrado.
In alcuni casi queste strutture, spesso con i muri tappezzati dai
writers di scritte e disegni, sono state utilizzate come backstage per
servizi fotografici.
Gianni Biasetto
«La scuola materna Angela Breda rischia di chiudere»
Da "Il Mattino di Padova" di Martedì 10 Novembre 2015
PONTE DI BRENTA
La scuola materna Angela Breda, a Ponte di Brenta, secondo i genitori
dei bimbi rischia di chiudere. Genitori che sono amareggiati e
arrabbiati. Prima tante promesse da parte del Comune, soprattutto un
finanziamento di 150 mila euro messo a disposizione dalla Fondazione
Cariparo, finalmente la gestione di Spes ma ad oggi siamo al punto di
partenza. Dopo il terremoto del 2012 che ha reso inagibile la parte più
pregiata, più capiente e più bella, i bambini sono stati trasferiti
nell’altra ala, più recente, ma, a dire dei genitori, «costruita male e
poco stabile». «I piccoli» spiegano «attualmente sono divisi in tre aule
e avrebbero un giardino a disposizione, solo che quando piove,
sistematicamente, emerge addirittura la fogna. A quanto abbiamo capito
il nodo più difficile da sciogliere è quello della proprietà che non è
ancora del Comune perché manca il nulla-osta del commissario regionale,
ma il nostro sospetto è che il Comune non voglia intervenire». Intanto,
sopravvive solo la scuola materna (con 40 bambini iscritti), mentre il
nido ha chiuso perché non c’era abbastanza spazio per accogliere anche i
più piccoli. «Il risultato è che i genitori di Ponte di Brenta non sono
più attratti dalla Breda», sottolineano i superstiti, «incredibile la
non attenzione del Comune visto che proprio in questa parte del rione si
è creato un polo scolastico che necessita, per essere completo, solo
della materna». Nessuna sorpresa che quest’anno si siano registrate meno
iscrizioni dell’anno passato. La stessa Spes sta facendo i salti
mortali per continuare a garantire la gestione della scuola, investendo
in denaro e lavoro ma, se non parte il finanziamento pubblico, il
prossimo gennaio non apriranno nemmeno le iscrizioni.
Elvira Scigliano
venerdì 18 settembre 2015
La donna tentatrice? È offensivo!
Bergoglio demolisce i luoghi comuni «La donna tentatrice? È offensivo»
Dal "Corriere della Sera" di Giovedì 17 Settembre 2015, pagina 23
Il Pontefice: c’è spazio per una teologia diversa. Scaraffia: cade uno stereotipo secolare
CITTÀ DEL VATICANO Francesco l’aveva buttata lì durante un’udienza prima dell’estate, una battuta mentre parlava del «puro scandalo della disparità» tra uomo e donna e metteva in guardia dalla «falsità» di chi dice che il matrimonio è in crisi a causa dell’emancipazione femminile: «È una forma di maschilismo, che sempre vuole dominare la donna. Facciamo la brutta figura che ha fatto Adamo, quando Dio gli ha detto: “Ma perché hai mangiato il frutto dell’albero? E lui: “La donna me l’ha dato”. E la colpa è della donna, povera donna, dobbiamo difendere le donne!».
Detto, fatto. La battuta di qualche mese fa è diventata ieri una riflessione teologica che il Papa ha proposto in piazza San Pietro nell’ultima delle catechesi dedicate alla famiglia. Adamo, Eva, la mela. E quella frase nel terzo capitolo della Genesi, cita Francesco, le parole che Dio rivolge «al serpente ingannatore, incantatore», versetto 15: « Io porrò inimicizia tra te e la donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe ». Francesco scandisce: «Pensate quale profondità si apre qui! Esistono molti luoghi comuni, a volte persino offensivi, sulla donna tentatrice che ispira al male. Invece c’è spazio per una teologia della donna che sia all’altezza di questa benedizione di Dio per lei e per la generazione!».
Lucetta Scaraffia, coordinatrice dell’inserto Donne Chiesa mondo dell’ Osservatore Romano , notava ieri che «lo stereotipo» secolare della donna tentatrice «ha avuto molta fortuna nella Chiesa». E Francesco, ieri, lo ha demolito. I «luoghi comuni offensivi» dicono l’opposto della verità. Perché con le parole rivolte al serpente, ha spiegato il Papa, «Dio segna la donna con una barriera protettiva contro il male, alla quale essa può ricorrere — se vuole — per ogni generazione». Lo stesso Cristo, ricorda, è nato da una donna. E il racconto della Genesi «vuol dire che la donna porta una segreta e speciale benedizione, per la difesa della sua creatura dal Maligno: come la Donna dell’Apocalisse, che corre a nascondere il figlio dal Drago. E Dio la protegge».
Anche da qui deve partire quella riflessione che Francesco invocò dall’inizio del pontificato, nel 2013: «Il ruolo della donna nella Chiesa non è soltanto la maternità, la mamma di famiglia, ma è più forte: è proprio l’icona della Vergine, quella che aiuta a crescere la Chiesa. La Madonna è più importante degli Apostoli! E la Chiesa è femminile… Credo che noi non abbiamo fatto ancora una profonda teologia della donna, nella Chiesa». Capire questo, oltre i «luoghi comuni» e le disparità, è fondamentale per quella «nuova alleanza tra uomo e donna» che Francesco ritiene «non solo necessaria ma anche strategica» nel nostro tempo: per «l’emancipazione dei popoli dalla colonizzazione del denaro». Il Papa anticipa temi del prossimo viaggio a Cuba e negli Usa, che si concluderà con l’incontro delle famiglie a Philadelphia. Temi che saranno anche al centro del Sinodo di ottobre.
Tutto si tiene. Francesco spiega che «l’attuale passaggio di civiltà appare segnato dagli effetti a lungo termine di una società amministrata dalla tecnocrazia economica». E «la subordinazione dell’etica alla logica del profitto dispone di mezzi ingenti e di appoggio mediatico enorme». Qui sta il ruolo decisivo della famiglia: «La nuova alleanza tra uomo e donna deve ritornare ad orientare la politica, l’economia e la convivenza civile!».
Perché Dio «ha affidato alla famiglia non la cura di un’intimità fine a se stessa, bensì l’emozionante progetto di rendere “domestico” il mondo», esclama: «La famiglia è alla base di questa cultura mondiale che ci salva da tanti attacchi, distruzioni, colonizzazioni, come quella del denaro o delle ideologie che minacciano il mondo. La famiglia è la base per difendersi!».
Proprio ieri, il Consiglio di nove cardinali («C9») voluto dal Papa ha definito la nascita di una nuova Congregazione che si occuperà di fedeli laici, famiglia e vita e assorbirà le competenze di due pontifici consigli: un «ministero» ad hoc che non è solo una semplificazione della Curia e dice tutta l’importanza che la questione ha per il Papa. Nel «C9», tra l’altro, si è discusso anche delle procedure per la nomina dei vescovi del mondo: il Papa — forse non convinto da alcune candidature — ha deciso che le procedure per raccogliere informazioni e sondare «qualità e requisiti dei candidati» dovranno essere aggiornate.
Gian Guido Vecchi
Corriere della Sera © RIPRODUZIONE RISERVATA
Dal "Corriere della Sera" di Giovedì 17 Settembre 2015, pagina 23
Il Pontefice: c’è spazio per una teologia diversa. Scaraffia: cade uno stereotipo secolare
CITTÀ DEL VATICANO Francesco l’aveva buttata lì durante un’udienza prima dell’estate, una battuta mentre parlava del «puro scandalo della disparità» tra uomo e donna e metteva in guardia dalla «falsità» di chi dice che il matrimonio è in crisi a causa dell’emancipazione femminile: «È una forma di maschilismo, che sempre vuole dominare la donna. Facciamo la brutta figura che ha fatto Adamo, quando Dio gli ha detto: “Ma perché hai mangiato il frutto dell’albero? E lui: “La donna me l’ha dato”. E la colpa è della donna, povera donna, dobbiamo difendere le donne!».
Detto, fatto. La battuta di qualche mese fa è diventata ieri una riflessione teologica che il Papa ha proposto in piazza San Pietro nell’ultima delle catechesi dedicate alla famiglia. Adamo, Eva, la mela. E quella frase nel terzo capitolo della Genesi, cita Francesco, le parole che Dio rivolge «al serpente ingannatore, incantatore», versetto 15: « Io porrò inimicizia tra te e la donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe ». Francesco scandisce: «Pensate quale profondità si apre qui! Esistono molti luoghi comuni, a volte persino offensivi, sulla donna tentatrice che ispira al male. Invece c’è spazio per una teologia della donna che sia all’altezza di questa benedizione di Dio per lei e per la generazione!».
Lucetta Scaraffia, coordinatrice dell’inserto Donne Chiesa mondo dell’ Osservatore Romano , notava ieri che «lo stereotipo» secolare della donna tentatrice «ha avuto molta fortuna nella Chiesa». E Francesco, ieri, lo ha demolito. I «luoghi comuni offensivi» dicono l’opposto della verità. Perché con le parole rivolte al serpente, ha spiegato il Papa, «Dio segna la donna con una barriera protettiva contro il male, alla quale essa può ricorrere — se vuole — per ogni generazione». Lo stesso Cristo, ricorda, è nato da una donna. E il racconto della Genesi «vuol dire che la donna porta una segreta e speciale benedizione, per la difesa della sua creatura dal Maligno: come la Donna dell’Apocalisse, che corre a nascondere il figlio dal Drago. E Dio la protegge».
Anche da qui deve partire quella riflessione che Francesco invocò dall’inizio del pontificato, nel 2013: «Il ruolo della donna nella Chiesa non è soltanto la maternità, la mamma di famiglia, ma è più forte: è proprio l’icona della Vergine, quella che aiuta a crescere la Chiesa. La Madonna è più importante degli Apostoli! E la Chiesa è femminile… Credo che noi non abbiamo fatto ancora una profonda teologia della donna, nella Chiesa». Capire questo, oltre i «luoghi comuni» e le disparità, è fondamentale per quella «nuova alleanza tra uomo e donna» che Francesco ritiene «non solo necessaria ma anche strategica» nel nostro tempo: per «l’emancipazione dei popoli dalla colonizzazione del denaro». Il Papa anticipa temi del prossimo viaggio a Cuba e negli Usa, che si concluderà con l’incontro delle famiglie a Philadelphia. Temi che saranno anche al centro del Sinodo di ottobre.
Tutto si tiene. Francesco spiega che «l’attuale passaggio di civiltà appare segnato dagli effetti a lungo termine di una società amministrata dalla tecnocrazia economica». E «la subordinazione dell’etica alla logica del profitto dispone di mezzi ingenti e di appoggio mediatico enorme». Qui sta il ruolo decisivo della famiglia: «La nuova alleanza tra uomo e donna deve ritornare ad orientare la politica, l’economia e la convivenza civile!».
Perché Dio «ha affidato alla famiglia non la cura di un’intimità fine a se stessa, bensì l’emozionante progetto di rendere “domestico” il mondo», esclama: «La famiglia è alla base di questa cultura mondiale che ci salva da tanti attacchi, distruzioni, colonizzazioni, come quella del denaro o delle ideologie che minacciano il mondo. La famiglia è la base per difendersi!».
Proprio ieri, il Consiglio di nove cardinali («C9») voluto dal Papa ha definito la nascita di una nuova Congregazione che si occuperà di fedeli laici, famiglia e vita e assorbirà le competenze di due pontifici consigli: un «ministero» ad hoc che non è solo una semplificazione della Curia e dice tutta l’importanza che la questione ha per il Papa. Nel «C9», tra l’altro, si è discusso anche delle procedure per la nomina dei vescovi del mondo: il Papa — forse non convinto da alcune candidature — ha deciso che le procedure per raccogliere informazioni e sondare «qualità e requisiti dei candidati» dovranno essere aggiornate.
Gian Guido Vecchi
Corriere della Sera © RIPRODUZIONE RISERVATA
martedì 4 agosto 2015
La rivoluzione culturale di Olivetti
L’intervista
Parla
Laura, figlia di Adriano: «Sento l’obbligo morale di continuare
sulla strada che ha tracciato mio padre» Il sogno di “Ivrea, città
industriale” nella lista Unesco. Oggi a Volterra riceverà il
premio “Ombra della Sera”
di
GIUSEPPE MATARAZZO
«Abbiamo
portato in tutti i villaggi le nostre armi segrete: i libri, i corsi,
le opere dell’ingegno e dell’arte. Noi crediamo nella virtù
rivoluzionaria della cultura che dona all’uomo il suo vero potere».
Così Adriano Olivetti riassumeva il senso della Fabbrica-Comunità e
l’utopia (possibile) di un’economia che si muovesse verso un fine
ben più alto dello sterile e crudo indice del profitto e aprisse
invece la strada a un cammino di civiltà e di elevazione per tutti.
Nello spirito dell’«umanesimo integrale» professato da Jacques
Maritain che per l’imprenditore di Ivrea fu un fondamentale punto
di riferimento ideologico. «La sfida di mio padre si è giocata su
questo campo: su un radicale cambiamento di mentalità rispetto al
mito del progresso e del profitto a tutti i costi sulla pelle dei
lavoratori. Al contrario, la fabbrica era considerata uno strumento
di crescita del territorio, per migliorare le condizioni di vita di
tutti, con un welfare su misura, servizi, educazione e appunto,
cultura», rilancia Laura Olivetti, figlia di Adriano, oggi alla
guida della Fondazione che porta il suo nome, fondata nel 1962, due
anni dopo la prematura scomparsa dell’imprenditore. «La
fabbrica-comunità era il tentativo di una grande innovazione
culturale, per le imprese, i lavoratori e tutti i soggetti attivi del
territorio. E su questo terreno sento il dovere di continuare a
testimoniare l’esperienza di mio padre». Olivetti è morto quando
Laura aveva appena nove anni. Per lei la famiglia era la «Ditta».
Un tutt’uno. «I miei ricordi arrivano ovviamente fino a un certo
punto. Nel tempo ho ascoltato i racconti di chi è stato sempre
vicino a mio padre; ho letto i carteggi, ho scavato in archivio e
alla fine credo di aver ricostruito pienamente la sua figura. È
stato un esercizio importante per riavvicinarmi a lui e alla mia
famiglia. Prima di occuparmi della fondazione facevo altro, ero una
ricercatrice di psicologia. Fu verso l’inizio degli anni Novanta
che una serie di circostanze fecero scattare in me la sensazione che
occuparmi della Fondazione fosse un obbligo morale. Erano gli anni
dei grandi cambiamenti per l’azienda e avevo paura che la
Fondazione potesse ridursi a una vestale del passato. Ho cercato
allora di rimettere in sesto questa istituzione, per mille ragioni
rimasta silente, e diffondere il valore culturale della storia di
Olivetti. Poi nel luglio del 2003 il nome Olivetti venne fatto
scomparire dallo scenario dell’impresa italiana, così la
Fondazione è oggi di fatto l’unica realtà legata a triplo filo
con quell’esperienza e deputata a valorizzare questi asset
intangibili che si rivolgono al capitale umano».
In
questa direzione va il lavoro divulgativo delle Edizioni di
Comunità (dirette con vera passione dal figlio di Laura,
Beniamino de’ Liguori Carino), con la pubblicazione dei discorsi,
degli scritti e del pensiero di Adriano Olivetti. E poi c’è tutto
il lavoro svolto nei territori, in particolare nei luoghi legati alla
storia di Olivetti, per creare opportunità di crescita sociale: «A
Roma, a Corviale, abbiamo coinvolto negli anni gli abitanti in
operazioni che andavano dagli orti urbani alla creazione di Radio
Cordiale – dice Laura Olivetti –. Abbiamo svolto un grande lavoro
nel carcere di Bollate, con l’apertura di un asilo realizzato con
criteri innovativi, dentro l’istituto, ma aperto al pubblico.
Abbiamo svolto ricerche sullo stato dell’impresa nel canavese e
ricostruito tutta la vicenda di mio padre in Basilicata, a Matera,
che nel 2019 sarà capitale europea della cultura. Qui mio padre,
negli anni Cinquanta portò avanti una delle sue scommesse più alte,
insieme ad altri intellettuali e professionisti: fare della capitale
dell’Italia contadina, nel Mezzogiorno descritto da Carlo Levi in
Cristo si è fermato a Eboli un’altra Ivrea. Adesso stiamo
chiudendo una convenzione con il comune di Pozzuoli, un altro sito
simbolo della storia di Olivetti, per la diffusione del suo pensiero
fra i giovani».
Un
impegno, quello della Fondazione Adriano Olivetti che oggi pomeriggio
sarà premiato con il riconoscimento “Ombra della Sera” per la
cultura su segnalazione della Commissione nazionale italiana per
l’Unesco, nell’ambito del Festival Internazionale del Teatro
Romano di Volterra, insieme ad altre personalità dello spettacolo,
dell’arte e del giornalismo. L’Unesco e la Lista dei siti
Patrimonio dell’Umanità che sognano Olivetti e Ivrea, la cui
candidatura è stata ufficializzata nel 2012 al termine di un lavoro
di ricerca e valorizzazione avviato già nel 2008 con il Comitato
nazionale per le celebrazioni del centenario della Società Olivetti.
«Una traccia lunga quasi un secolo ha legato il nome Olivetti a
Ivrea e al territorio canavesano unendo le vicende dell’impresa
alla storia di questa terra – spiega Laura Olivetti, presentando il
dossier –: “Ivrea, città industriale del XX secolo” pone
all’attenzione dell’Unesco il modello di città industriale,
elaborato a partire dagli anni Trenta da Adriano Olivetti e diventato
poi progetto di comunità alternativo a quello proposto dallo
sviluppo industriale del XX secolo. L’esempio di Ivrea rappresenta
un’opportunità per sollecitare importanti riflessioni sui processi
di innovazione sociale e di governance del territorio».
Di
fronte alla crisi generata da una economia del profitto e della
finanza speculativa e al senso di smarrimento generale che
avvertiamo, la comunità, le fabbriche del bene, la città dell’uomo,
la grande utopia inseguita da Adriano Olivetti sono da qualche anno
un faro per chi sostiene un’economia dal volto umano. Il
riconoscimento Unesco sarebbe la “certificazione” che tutto
questo rappresenta un patrimonio dell’umanità. Ma questo
ovviamente non basta. «Le sue erano idee troppo innovative, e per
questo aveva anche molti nemici che lo osteggiavano fortemente.
Quando è scomparso è stato anche dimenticato. Da qualche anno, con
la crisi che stiamo vivendo, c’è una riscoperta». Se chiediamo a
Laura Olivetti quale degli insegnamenti di suo padre si sente di
indicare come “inizio”, la risposta è un invito a guardarci
dentro, fino in fondo: «Mio padre ha fatto quello che ha fatto,
perché era una persona buona. Veramente buona. Può sembrare una
diminutio, ma è il cuore della sua testimonianza». Adriano
Olivetti era un testimone autentico e per questo oggi le sue idee
sono credibili. Le sue idee partivano da un animo nobile. «Ogni
esempio è irripetibile – continua –: Ivrea è Ivrea. Ma ci sono
altre realtà e imprese in Italia che operano con responsabilità
sociale e una straordinaria attenzione al territorio». Il sogno di
Olivetti può continuare.
(da
Avvenire del 1° agosto 2015)© RIPRODUZIONE RISERVATA
lunedì 27 luglio 2015
Fatica straniera e invisibile
L’ALTRO VOLTO,
ANCHE MORTALE, DELL’IMMIGRAZIONE
di Francesco
Riccardi
Sono l’altro
volto dell’immigrazione, quello che fatichiamo a vedere. Braccianti
sfruttati nei campi della Puglia, della Sicilia e perfino delle
Langhe piemontesi. Neri africani e marocchini, polacchi e romeni,
uomini e donne oggetto delle peggiori angherie nelle nostre campagne.
In questi giorni arroventati finiscono pure per morirne, schiantati
da caldo e fatica. Come Mohamed, sudanese di 47 anni, deceduto lunedì
mentre raccoglieva pomodori a Nardò, sotto il sole a picco, con una
bottiglia d’acqua già vuota a metà mattina. Quel lavoro, presso
una famiglia con qualche ettaro di terra, glielo aveva procurato un
suo connazionale, il caporale, oggi sotto inchiesta per omicidio
colposo assieme ai proprietari dell’azienda agricola.
Non certo un caso
isolato, quello di Mohamed. I lavoratori extra e neocomunitari
impiegati in maniera irregolare sono decine di migliaia, denunciano
da tempo i sindacati. E la gran parte di loro non sta nascosta in
qualche capannone isolato, ma piega la schiena alla luce del sole nei
campi e fra le serre del Mezzogiorno, del Centro e pure in alcune
zone del Nord. Uomini e donne pagati dai 2 ai 5 euro l’ora per
raccogliere quel che la terra dà a seconda della stagione. La sera,
poi, sono ancora più visibili, perché non hanno casa e occupano
tuguri di campagna – per il cui 'affitto' viene loro trattenuta una
parte della magra paga – o formano tendopoli sotto gli alberi.
Eppure fatichiamo a vederli, questi esseri umani. Ci sono interi
centri, in particolare al Sud, la cui economia è strutturalmente
basata sullo sfruttamento della manodopera straniera. Di solito
funziona così: c’è un proprietario che assume in maniera
'regolare' dei braccianti tutti rigorosamente italiani oppure forma
una (falsa) cooperativa. Poi, molti di questi nostri connazionali si
'trasformano' in disoccupati e incassano dall’Inps la relativa
indennità. Nei campi, con 40 gradi, vanno invece gli stranieri
raccolti e organizzati dai vari caporali. Paga in nero, nessun
diritto, orari dall’alba al tramonto. 'E zitti!' perché c’è il
caso di finire ammazzati a bastonate, come accaduto ad alcuni operai
polacchi qualche anno fa. Tolto il caldo da record, non c’è nulla
di nuovo – purtroppo – nei drammi che si consumano in questi
giorni nelle nostre campagne. Sono situazioni che la magistratura, le
forze dell’ordine, gli organi preposti ai controlli conoscono
benissimo. Che tutti noi conosciamo, in realtà. Soprattutto chi
abita nei piccoli paesi agricoli.
Solo che soffriamo
di questa strana, maledetta miopia. Vediamo bene, e giustamente ci
indigniamo, per gli stranieri tenuti a ciondolare nei centri
d’accoglienza senza aver nulla da fare. Ma gli altri, quelli che
stanno nei nostri campi e nelle nostre serre, non riusciamo proprio a
scorgerli. Non ci indignano, loro, neppure se muoiono sotto il sole.
Non valgono neanche un materasso da bruciare.
(da Avvenire
del 24 luglio 2015)© RIPRODUZIONE RISERVATA
giovedì 25 giugno 2015
Petizione ex C&C: a Bruxelles vince il buon senso
La petizione presentata due anni fa a Bruxelles per chiedere la bonifica della ex C&C di Pernumia resterà aperta perché il problema non è risolto.
È questo il risultato della discussione in Commissione Petizioni il 23 giugno, promossa dall’eurodeputata Eleonora Evi del Movimento 5 Stelle, che alcuni mesi fa ha avuto lo scrupolo di chiedere ai comitati un aggiornamento della situazione sul sito inquinato, evitando di fatto la chiusura inopportuna della pratica.
Un delegato del comitato SOS C&C e dell’Associazione LaVespa è infatti intervenuto a Bruxelles per denunciare il permanere della grave situazione, mostrando anche a video le impressionanti immagini della fabbrica dei veleni, ancora con tutte le sue 52.000 tonnellate di rifiuti tossico nocivi, a oltre dieci anni dal sequestro per ecomafia. Oltre all’eurodeputata Eleonora Evi, anche la spagnola Angela Vallina (Gruppo GUE) e la danese Margreta Auken (gruppo VERDI) hanno sostenuto la necessità che la petizione rimanga aperta finchè la questione non sarà completamente risolta.
Sconcertante e deludente è stato invece l’intervento dell’eurodeputata Elisabetta Gardini (gruppo PPE), padovana e membro della Commissione Petizioni, che si è battuta perché la petizione fosse chiusa in quanto a suo avviso è tutto sotto controllo, dimostrando di difendere forse settoriali logiche politiche ma non certo la salute dei cittadini e la salubrità del territorio.
A Bruxelles ha vinto il buonsenso, e ci auguriamo che questa vittoria serva ad accelerare i passi: ad utilizzare il milione e mezzo di euro assegnato dalla Regione Veneto lo scorso dicembre ma non ancora utilizzabile, e a dar vita all’auspicato tavolo tecnico con il Ministero dell’Ambiente per il reperimento di altri fondi. La petizione era stata presentata nel marzo del 2013 con il supporto dell’allora eurodeputato Andrea Zanoni (ora consigliere regionale) e il corredo di 2400 firme di cittadini del territorio.
Le autorità di Bruxelles durante l’inchiesta avevano ricevuto dalle autorità italiane, risposte “tranquillizzanti”, in particolare sul completamento delle analisi e sull’inizio dell’asporto dei rifiuti, tanto da indurre la Commissione a ritenere “risolto” il problema. Invece non c’è proprio nulla da stare tranquilli e quanto dichiarato dalle autorità italiane non corrisponde alla realtà dei fatti: intanto la caratterizzazione dell’area esterna (dove furono sepolti tonnellate di rifiuti senza alcuna precauzione), per la quale sono stanziati 200.000 euro ed esiste già il piano tecnico, non è mai stata effettuata. Inoltre, il primo asporto dei rifiuti, che ci auguriamo inizi presto, dopo la recentissima aggiudicazione della gara d’appalto per 224.000 euro, interesserà una massa di rifiuti stimabile intorno al 3-6%, assolutamente irrisoria se applicata alle 52.000 tonnellate di rifiuti pericolosi ammassati nell'edificio.
Si può visionare la discussione in commissione al link http://www.europarl.europa.eu/activities/committees/homeCom.do?language=EN&body=PETI
oppure cercando PETI, 23 giugno, lavori 16,00-18,00.
Altre info sulla ex C&C su: www.comitatososcec.altervista.org - www.lavespa.org
È questo il risultato della discussione in Commissione Petizioni il 23 giugno, promossa dall’eurodeputata Eleonora Evi del Movimento 5 Stelle, che alcuni mesi fa ha avuto lo scrupolo di chiedere ai comitati un aggiornamento della situazione sul sito inquinato, evitando di fatto la chiusura inopportuna della pratica.
Un delegato del comitato SOS C&C e dell’Associazione LaVespa è infatti intervenuto a Bruxelles per denunciare il permanere della grave situazione, mostrando anche a video le impressionanti immagini della fabbrica dei veleni, ancora con tutte le sue 52.000 tonnellate di rifiuti tossico nocivi, a oltre dieci anni dal sequestro per ecomafia. Oltre all’eurodeputata Eleonora Evi, anche la spagnola Angela Vallina (Gruppo GUE) e la danese Margreta Auken (gruppo VERDI) hanno sostenuto la necessità che la petizione rimanga aperta finchè la questione non sarà completamente risolta.
Sconcertante e deludente è stato invece l’intervento dell’eurodeputata Elisabetta Gardini (gruppo PPE), padovana e membro della Commissione Petizioni, che si è battuta perché la petizione fosse chiusa in quanto a suo avviso è tutto sotto controllo, dimostrando di difendere forse settoriali logiche politiche ma non certo la salute dei cittadini e la salubrità del territorio.
A Bruxelles ha vinto il buonsenso, e ci auguriamo che questa vittoria serva ad accelerare i passi: ad utilizzare il milione e mezzo di euro assegnato dalla Regione Veneto lo scorso dicembre ma non ancora utilizzabile, e a dar vita all’auspicato tavolo tecnico con il Ministero dell’Ambiente per il reperimento di altri fondi. La petizione era stata presentata nel marzo del 2013 con il supporto dell’allora eurodeputato Andrea Zanoni (ora consigliere regionale) e il corredo di 2400 firme di cittadini del territorio.
Le autorità di Bruxelles durante l’inchiesta avevano ricevuto dalle autorità italiane, risposte “tranquillizzanti”, in particolare sul completamento delle analisi e sull’inizio dell’asporto dei rifiuti, tanto da indurre la Commissione a ritenere “risolto” il problema. Invece non c’è proprio nulla da stare tranquilli e quanto dichiarato dalle autorità italiane non corrisponde alla realtà dei fatti: intanto la caratterizzazione dell’area esterna (dove furono sepolti tonnellate di rifiuti senza alcuna precauzione), per la quale sono stanziati 200.000 euro ed esiste già il piano tecnico, non è mai stata effettuata. Inoltre, il primo asporto dei rifiuti, che ci auguriamo inizi presto, dopo la recentissima aggiudicazione della gara d’appalto per 224.000 euro, interesserà una massa di rifiuti stimabile intorno al 3-6%, assolutamente irrisoria se applicata alle 52.000 tonnellate di rifiuti pericolosi ammassati nell'edificio.
Si può visionare la discussione in commissione al link http://www.europarl.europa.eu/activities/committees/homeCom.do?language=EN&body=PETI
oppure cercando PETI, 23 giugno, lavori 16,00-18,00.
Altre info sulla ex C&C su: www.comitatososcec.altervista.org - www.lavespa.org
mercoledì 17 giugno 2015
I cittadini a Bruxelles per la ex C&C
Filippo Zodio, in rappresentanza dell'associazione LaVespa e del comitato SOS C&C, si recherà alla Commissione Petizioni a Bruxelles il prossimo 23 giugno per supportare la petizione presentata dai cittadini due anni fa. Sarà accompagnato dall'eurodeputata Eleonora Evi del Movimento 5 Stelle che ha avuto lo scrupolo di chiedere ai cittadini un aggiornamento sulla situazione del sito inquinato di Pernumia, evitando una chiusura affrettata della petizione stessa. Grazie a lei ora i cittadini possono dire alla Commissione europea come stanno effettivamente le cose e chiedere che la pratica rimanga aperta.
La petizione era stata presentata nel marzo del 2013 con il supporto dell’allora eurodeputato Andrea Zanoni (ora consigliere regionale) e il corredo di 2400 firme di cittadini del territorio, per chiedere la bonifica di quest’area inquinata collocata in un contesto fortemente antropizzato e a rischio idrogeologico. Le autorità di Bruxelles hanno svolto la loro inchiesta, ricevendo dalle autorità italiane risposte “tranquillizzanti”, in particolare sul completamento delle analisi e sull’inizio dell’asporto dei rifiuti, tanto da indurre la commissione europea a ritenere “risolto” il problema.
Invece non c’è proprio nulla da stare tranquilli e quanto dichiarato dalle autorità italiane non corrisponde alla realtà dei fatti. Intanto la caratterizzazione dell’area esterna (dove erano stati sepolti tonnellate di rifiuti senza alcuna precauzione), per la quale sono stati stanziati 200.000 euro nel 2007 ed esiste già il piano tecnico, non è mai stata effettuata. Inoltre, il primo asporto dei rifiuti, che ci auguriamo inizi presto, dopo la recentissima aggiudicazione della gara d’appalto per 224.000 euro, interesserà una massa di rifiuti stimabile intorno al 3-6%, assolutamente irrisoria se applicata alle 52.000 tonnellate di rifiuti pericolosi ammassati nell'edificio.
A distanza di oltre 10 anni, gli unici interventi eseguiti con i 500.000 euro assegnati dalla Regione Veneto hanno riguardato la chiusura delle falle di pareti e tetto, che rimangono alquanto precarie.
Il problema della ex C&C è dunque tutt'altro che risolto ed è necessario che le autorità, a tutti i livelli, si impegnino per affrontarlo in modo definitivo.
Si potrà seguire la discussione in commissione in webstream cliccando sul seguente link:
http://www.europarl.europa.eu/ activities/committees/homeCom. do?language=EN&body=PETI in diretta o in differita il giorno successivo.
Associazione LaVespa
Comitato SOS C&C
sabato 6 giugno 2015
La parola di Papa Francesco
Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
In questi mercoledì abbiamo riflettuto sulla famiglia e andiamo avanti su questo tema, riflettere sulla famiglia. E da oggi le nostre catechesi si aprono, con la riflessione alla considerazione della vulnerabilità che ha la famiglia, nelle condizioni della vita che la mettono alla prova. La famiglia ha tanti problemi che la mettono alla prova.
Una di queste prove è la povertà. Pensiamo a tante famiglie che popolano le periferie delle megalopoli, ma anche alle zone rurali … Quanta miseria, quanto degrado! E poi, ad aggravare la situazione, in alcuni luoghi arriva anche la guerra. La guerra è sempre una cosa terribile. Essa inoltre colpisce specialmente le popolazioni civili, le famiglie. Davvero la guerra è la “madre di tutte le povertà”, la guerra impoverisce la famiglia, una grande predatrice di vite, di anime, e degli affetti più sacri e più cari.
Nonostante tutto questo, ci sono tante famiglie povere che con dignità cercano di condurre la loro vita quotidiana, spesso confidando apertamente nella benedizione di Dio. Questa lezione, però, non deve giustificare la nostra indifferenza, ma semmai aumentare la nostra vergogna per il fatto che ci sia tanta povertà! E’ quasi un miracolo che, anche nella povertà, la famiglia continui a formarsi, e persino a conservare – come può – la speciale umanità dei suoi legami. Il fatto irrita quei pianificatori del benessere che considerano gli affetti, la generazione, i legami famigliari, come una variabile secondaria della qualità della vita. Non capiscono niente! Invece, noi dovremmo inginocchiarci davanti a queste famiglie, che sono una vera scuola di umanità che salva le società dalla barbarie.
Che cosa ci rimane, infatti, se cediamo al ricatto di Cesare e Mammona, della violenza e del denaro, e rinunciamo anche agli affetti famigliari? Una nuova etica civile arriverà soltanto quando i responsabili della vita pubblica riorganizzeranno il legame sociale a partire dalla lotta alla spirale perversa tra famiglia e povertà, che ci porta nel baratro.
L’economia odierna si è spesso specializzata nel godimento del benessere individuale, ma pratica largamente lo sfruttamento dei legami famigliari. E’ una contraddizione grave, questa! L’immenso lavoro della famiglia non è quotato nei bilanci, naturalmente! Infatti l’economia e la politica sono avare di riconoscimenti a tale riguardo. Eppure, la formazione interiore della persona e la circolazione sociale degli affetti hanno proprio lì il loro pilastro. Se lo togli, viene giù tutto.
Non è solo questione di pane. Parliamo di lavoro, parliamo di istruzione, parliamo di sanità. E’ importante capire bene questo. Rimaniamo sempre molto commossi quando vediamo le immagini di bambini denutriti e malati che ci vengono mostrate in tante parti del mondo. Nello stesso tempo, ci commuove anche molto lo sguardo sfavillante di molti bambini, privi di tutto, che stanno in scuole fatte di niente, quando mostrano con orgoglio la loro matita e il loro quaderno. E come guardano con amore il loro maestro o la loro maestra! Davvero i bambini lo sanno che l’uomo non vive di solo pane! Anche l’affetto famigliare; quando c’è la miseria i bambini soffrono, perché loro vogliono l’amore, i legami famigliari.
Noi cristiani dovremmo essere sempre più vicini alle famiglie che la povertà mette alla prova. Ma pensate, tutti voi conoscete qualcuno: papà senza lavoro, mamma senza lavoro … e la famiglia soffre, i legami si indeboliscono. E’ brutto questo. In effetti, la miseria sociale colpisce la famiglia e a volte la distrugge. La mancanza o la perdita del lavoro, o la sua forte precarietà, incidono pesantemente sulla vita familiare, mettendo a dura prova le relazioni. Le condizioni di vita nei quartieri più disagiati, con i problemi abitativi e dei trasporti, come pure la riduzione dei servizi sociali, sanitari e scolastici, causano ulteriori difficoltà. A questi fattori materiali si aggiunge il danno causato alla famiglia da pseudo-modelli, diffusi dai mass-media basati sul consumismo e il culto dell’apparire, che influenzano i ceti sociali più poveri e incrementano la disgregazione dei legami familiari. Curare le famiglie, curare l’affetto, quando la miseria mette la famiglia alla prova!
La Chiesa è madre, e non deve dimenticare questo dramma dei suoi figli. Anch’essa dev’essere povera, per diventare feconda e rispondere a tanta miseria. Una Chiesa povera è una Chiesa che pratica una volontaria semplicità nella propria vita – nelle sue stesse istituzioni, nello stile di vita dei suoi membri – per abbattere ogni muro di separazione, soprattutto dai poveri.
Ci vogliono la preghiera e l’azione. Preghiamo intensamente il Signore, che ci scuota, per rendere le nostre famiglie cristiane protagoniste di questa rivoluzione della prossimità famigliare, che ora ci è così necessaria! Di essa, di questa prossimità famigliare, fin dall’inizio, è fatta la Chiesa. E non dimentichiamo che il giudizio dei bisognosi, dei piccoli e dei poveri anticipa il giudizio di Dio (Mt 25,31-46). Non dimentichiamo questo e facciamo tutto quello che noi possiamo per aiutare le famiglie ad andare avanti nella prova della povertà e della miseria che colpiscono gli affetti, i legami famigliari. Io vorrei leggere un’altra volta il testo della Bibbia che abbiamo ascoltato all’inizio e ognuno di noi pensi alle famiglie che sono provate dalla miseria e dalla povertà, la Bibbia dice così: «Figlio, non rifiutare al povero il necessario per la vita, non essere insensibile allo sguardo dei bisognosi. Non rattristare chi ha fame, non esasperare chi è in difficoltà. Non turbare un cuore già esasperato, non negare un dono al bisognoso. Non respingere la supplica del povero, non distogliere lo sguardo dall’indigente. Da chi ti chiede non distogliere lo sguardo, non dare a lui l’occasione di maledirti» (Sir 4,1-5a). Perché questo sarà quello che farà il Signore - lo dice nel Vangelo - se non facciamo queste cose.
In questi mercoledì abbiamo riflettuto sulla famiglia e andiamo avanti su questo tema, riflettere sulla famiglia. E da oggi le nostre catechesi si aprono, con la riflessione alla considerazione della vulnerabilità che ha la famiglia, nelle condizioni della vita che la mettono alla prova. La famiglia ha tanti problemi che la mettono alla prova.
Una di queste prove è la povertà. Pensiamo a tante famiglie che popolano le periferie delle megalopoli, ma anche alle zone rurali … Quanta miseria, quanto degrado! E poi, ad aggravare la situazione, in alcuni luoghi arriva anche la guerra. La guerra è sempre una cosa terribile. Essa inoltre colpisce specialmente le popolazioni civili, le famiglie. Davvero la guerra è la “madre di tutte le povertà”, la guerra impoverisce la famiglia, una grande predatrice di vite, di anime, e degli affetti più sacri e più cari.
Nonostante tutto questo, ci sono tante famiglie povere che con dignità cercano di condurre la loro vita quotidiana, spesso confidando apertamente nella benedizione di Dio. Questa lezione, però, non deve giustificare la nostra indifferenza, ma semmai aumentare la nostra vergogna per il fatto che ci sia tanta povertà! E’ quasi un miracolo che, anche nella povertà, la famiglia continui a formarsi, e persino a conservare – come può – la speciale umanità dei suoi legami. Il fatto irrita quei pianificatori del benessere che considerano gli affetti, la generazione, i legami famigliari, come una variabile secondaria della qualità della vita. Non capiscono niente! Invece, noi dovremmo inginocchiarci davanti a queste famiglie, che sono una vera scuola di umanità che salva le società dalla barbarie.
Che cosa ci rimane, infatti, se cediamo al ricatto di Cesare e Mammona, della violenza e del denaro, e rinunciamo anche agli affetti famigliari? Una nuova etica civile arriverà soltanto quando i responsabili della vita pubblica riorganizzeranno il legame sociale a partire dalla lotta alla spirale perversa tra famiglia e povertà, che ci porta nel baratro.
L’economia odierna si è spesso specializzata nel godimento del benessere individuale, ma pratica largamente lo sfruttamento dei legami famigliari. E’ una contraddizione grave, questa! L’immenso lavoro della famiglia non è quotato nei bilanci, naturalmente! Infatti l’economia e la politica sono avare di riconoscimenti a tale riguardo. Eppure, la formazione interiore della persona e la circolazione sociale degli affetti hanno proprio lì il loro pilastro. Se lo togli, viene giù tutto.
Non è solo questione di pane. Parliamo di lavoro, parliamo di istruzione, parliamo di sanità. E’ importante capire bene questo. Rimaniamo sempre molto commossi quando vediamo le immagini di bambini denutriti e malati che ci vengono mostrate in tante parti del mondo. Nello stesso tempo, ci commuove anche molto lo sguardo sfavillante di molti bambini, privi di tutto, che stanno in scuole fatte di niente, quando mostrano con orgoglio la loro matita e il loro quaderno. E come guardano con amore il loro maestro o la loro maestra! Davvero i bambini lo sanno che l’uomo non vive di solo pane! Anche l’affetto famigliare; quando c’è la miseria i bambini soffrono, perché loro vogliono l’amore, i legami famigliari.
Noi cristiani dovremmo essere sempre più vicini alle famiglie che la povertà mette alla prova. Ma pensate, tutti voi conoscete qualcuno: papà senza lavoro, mamma senza lavoro … e la famiglia soffre, i legami si indeboliscono. E’ brutto questo. In effetti, la miseria sociale colpisce la famiglia e a volte la distrugge. La mancanza o la perdita del lavoro, o la sua forte precarietà, incidono pesantemente sulla vita familiare, mettendo a dura prova le relazioni. Le condizioni di vita nei quartieri più disagiati, con i problemi abitativi e dei trasporti, come pure la riduzione dei servizi sociali, sanitari e scolastici, causano ulteriori difficoltà. A questi fattori materiali si aggiunge il danno causato alla famiglia da pseudo-modelli, diffusi dai mass-media basati sul consumismo e il culto dell’apparire, che influenzano i ceti sociali più poveri e incrementano la disgregazione dei legami familiari. Curare le famiglie, curare l’affetto, quando la miseria mette la famiglia alla prova!
La Chiesa è madre, e non deve dimenticare questo dramma dei suoi figli. Anch’essa dev’essere povera, per diventare feconda e rispondere a tanta miseria. Una Chiesa povera è una Chiesa che pratica una volontaria semplicità nella propria vita – nelle sue stesse istituzioni, nello stile di vita dei suoi membri – per abbattere ogni muro di separazione, soprattutto dai poveri.
Ci vogliono la preghiera e l’azione. Preghiamo intensamente il Signore, che ci scuota, per rendere le nostre famiglie cristiane protagoniste di questa rivoluzione della prossimità famigliare, che ora ci è così necessaria! Di essa, di questa prossimità famigliare, fin dall’inizio, è fatta la Chiesa. E non dimentichiamo che il giudizio dei bisognosi, dei piccoli e dei poveri anticipa il giudizio di Dio (Mt 25,31-46). Non dimentichiamo questo e facciamo tutto quello che noi possiamo per aiutare le famiglie ad andare avanti nella prova della povertà e della miseria che colpiscono gli affetti, i legami famigliari. Io vorrei leggere un’altra volta il testo della Bibbia che abbiamo ascoltato all’inizio e ognuno di noi pensi alle famiglie che sono provate dalla miseria e dalla povertà, la Bibbia dice così: «Figlio, non rifiutare al povero il necessario per la vita, non essere insensibile allo sguardo dei bisognosi. Non rattristare chi ha fame, non esasperare chi è in difficoltà. Non turbare un cuore già esasperato, non negare un dono al bisognoso. Non respingere la supplica del povero, non distogliere lo sguardo dall’indigente. Da chi ti chiede non distogliere lo sguardo, non dare a lui l’occasione di maledirti» (Sir 4,1-5a). Perché questo sarà quello che farà il Signore - lo dice nel Vangelo - se non facciamo queste cose.
giovedì 7 maggio 2015
L'Italicum è legge
L'hanno chiamata Italicum, ma passerà alla storia come Disgraziatellum, perché questa legge morirà nella culla, ma se disgraziatamente dovesse sopravvivere ... allora porterà la democrazia alla tomba.
Commento un articolo pubblicato sul Mattino di Padova del 5 maggio 2015 da Alessandro Naccarato, deputato PD, che potete leggere per intero qui: L'Italicum è legge
"Le caratteristiche fondamentali della nuova legge sono queste. Il testo vale solo per la Camera, perché è coordinato con la riforma costituzionale che supera il bicameralismo perfetto e trasforma il Senato in un ente eletto dai consigli regionali."
Già questo fatto che il Senato diventa un'ente eletto dai consigli regionali non mi piace:
1° perché di enti pubblici in Italia ne abbiamo già abbastanza, fin troppi direi;
2° perché i consigli regionali non hanno dato, almeno fin'ora, un bell'esempio di trasparenza e di onestà.
3° perché i senatori avrei preferito eleggerli io ... eh, perché no?
"La lista che raccoglie più del 40% dei voti ottiene un premio di maggioranza ed elegge 340 deputati su 630. Se nessuna lista raggiunge il consenso sufficiente si svolge un ballottaggio tra le prime due. I seggi rimanenti sono attribuiti con il sistema proporzionale alle liste che hanno avuto più del 3%."
Ma quando mai un partito in Italia supererà il 40% dei consensi? Quello che accadrà più verosimilmente è che avremo due o tre partitelli che a mala pena supereranno il 20%, tra i quali i primi due si disputeranno il ballottaggio, per finire che uno solo arrafferà il 55% dei seggi, sempre e comunque. A tutti gli altri, che saranno la stragrande maggioranza, rimarrà da spartirsi il 45% dei seggi ... una lotta tra poveri. Se poi consideriamo che attualmente meno di 2/3 degli elettori si reca alle urne, possiamo solo immaginare il grado di rappresentatività di questo nuovo parlamento.
"L’Italia è divisa in 100 collegi. In ogni collegio le liste presentano un capolista: il suo nome è stampato sulla scheda elettorale a fianco al simbolo della lista. L’elettore ha a disposizione un voto per la lista e uno o due di preferenza: se esprime due voti devono essere rivolti a candidati di sesso diverso. In questo modo il capolista è “bloccato” ma, a differenza di quanto avveniva con il porcellum, il suo cognome è stampato sulla scheda, come accadeva nei collegi uninominali, e l’elettore può scegliere i propri candidati."
Sì, ci sono le preferenze, ma sono immaginarie. Proviamo a dare uno sguardo al sistema reale. 100 collegi significa 100 capilista eletti col sistema maggioritario; rimangono 530 seggi, una media di meno di 6 seggi per collegio: quindi in ogni collegio i partiti minori, ai quali spetteranno solo 290 seggi, cioè mediamente 3 seggi per collegio, se faranno un buon risultato, potranno eleggere i propri capilista; solo il partito vincente al ballottaggio avrà il privilegio di veder eletti molti dei suoi deputati con il sistema delle preferenze. Ma è ovvio che essendo il partito più forte, più strutturato, più potente ... se lo può permettere, in parole schiette: verranno fagocitati dalla nomenclatura.
"Certo, visto che non esiste la legge elettorale perfetta, anche questa presenta diversi limiti, in particolare quello dei capilista bloccati, ma rappresenta comunque un miglioramento rispetto al rischio dell’ennesimo fallimento e del pericolo di tornare a votare con il proporzionale puro. Tale sistema produrrebbe instabilità e assicurerebbe un potere di ricatto e di veto alle forze minori con la certezza di ripetere i disastri degli anni scorsi."
A parte il fatto che col sistema proporzionale la Repubblica italiana è stata governata, neanche tanto male, per quasi 50 anni e pertanto, questo rischio del ritorno al passato non lo comprendo proprio, vedo di più il rischio di continuare a perseverare nel voler imporre una legge maggioritaria ad un paese che è di per sé una composizione più o meno armoniosa di differenze regionali, storiche, culturali, geografiche, paesaggistiche, dialettali. Forse l'unica vera realtà comune era, nel passato, il cattolicesimo ... ma oggidì, neanche più tanto quello.
Per un sistema complesso come quello italiano, onestamente, il vero rischio lo vedo più nella rigidezza del governo che nell'instabilità.
"La nuova legge ha l’obiettivo di superare la paralisi e le incertezze del passato, di garantire agli elettori la scelta dei deputati e di dare una maggioranza sufficiente e non eccessiva alla lista vincente in modo da assicurare la formazione di governi stabili."
Non condivido il riassuntino finale:
- la legge non supererà la paralisi e le incertezze del passato, perché esse non dipendono dal sistema elettorale, né dalla composizione numerica del parlamento, bensì dipendono fortemente dalle convinzioni profonde e dal carattere politico degli italiani, siano essi eletti od elettori;
- non garantirà agli elettori la scelta dei deputati, essi saranno scelti dai partiti, unicamente dai partiti che li avranno accolti nelle loro liste;
- darà una maggioranza eccessiva ad un partito di minoranza relativa, una maggioranza parlamentare che non sarà comunque sufficiente a formare governi stabili, perché non si può governare un paese contro la sua stessa volontà.
A meno che non si identifichi il paese con il proprio partito!
E allora, scusatemi se lo ripeto ancora una volta, questo cosa ci ricorda?
Commento un articolo pubblicato sul Mattino di Padova del 5 maggio 2015 da Alessandro Naccarato, deputato PD, che potete leggere per intero qui: L'Italicum è legge
"Le caratteristiche fondamentali della nuova legge sono queste. Il testo vale solo per la Camera, perché è coordinato con la riforma costituzionale che supera il bicameralismo perfetto e trasforma il Senato in un ente eletto dai consigli regionali."
Già questo fatto che il Senato diventa un'ente eletto dai consigli regionali non mi piace:
1° perché di enti pubblici in Italia ne abbiamo già abbastanza, fin troppi direi;
2° perché i consigli regionali non hanno dato, almeno fin'ora, un bell'esempio di trasparenza e di onestà.
3° perché i senatori avrei preferito eleggerli io ... eh, perché no?
"La lista che raccoglie più del 40% dei voti ottiene un premio di maggioranza ed elegge 340 deputati su 630. Se nessuna lista raggiunge il consenso sufficiente si svolge un ballottaggio tra le prime due. I seggi rimanenti sono attribuiti con il sistema proporzionale alle liste che hanno avuto più del 3%."
Ma quando mai un partito in Italia supererà il 40% dei consensi? Quello che accadrà più verosimilmente è che avremo due o tre partitelli che a mala pena supereranno il 20%, tra i quali i primi due si disputeranno il ballottaggio, per finire che uno solo arrafferà il 55% dei seggi, sempre e comunque. A tutti gli altri, che saranno la stragrande maggioranza, rimarrà da spartirsi il 45% dei seggi ... una lotta tra poveri. Se poi consideriamo che attualmente meno di 2/3 degli elettori si reca alle urne, possiamo solo immaginare il grado di rappresentatività di questo nuovo parlamento.
"L’Italia è divisa in 100 collegi. In ogni collegio le liste presentano un capolista: il suo nome è stampato sulla scheda elettorale a fianco al simbolo della lista. L’elettore ha a disposizione un voto per la lista e uno o due di preferenza: se esprime due voti devono essere rivolti a candidati di sesso diverso. In questo modo il capolista è “bloccato” ma, a differenza di quanto avveniva con il porcellum, il suo cognome è stampato sulla scheda, come accadeva nei collegi uninominali, e l’elettore può scegliere i propri candidati."
Sì, ci sono le preferenze, ma sono immaginarie. Proviamo a dare uno sguardo al sistema reale. 100 collegi significa 100 capilista eletti col sistema maggioritario; rimangono 530 seggi, una media di meno di 6 seggi per collegio: quindi in ogni collegio i partiti minori, ai quali spetteranno solo 290 seggi, cioè mediamente 3 seggi per collegio, se faranno un buon risultato, potranno eleggere i propri capilista; solo il partito vincente al ballottaggio avrà il privilegio di veder eletti molti dei suoi deputati con il sistema delle preferenze. Ma è ovvio che essendo il partito più forte, più strutturato, più potente ... se lo può permettere, in parole schiette: verranno fagocitati dalla nomenclatura.
"Certo, visto che non esiste la legge elettorale perfetta, anche questa presenta diversi limiti, in particolare quello dei capilista bloccati, ma rappresenta comunque un miglioramento rispetto al rischio dell’ennesimo fallimento e del pericolo di tornare a votare con il proporzionale puro. Tale sistema produrrebbe instabilità e assicurerebbe un potere di ricatto e di veto alle forze minori con la certezza di ripetere i disastri degli anni scorsi."
A parte il fatto che col sistema proporzionale la Repubblica italiana è stata governata, neanche tanto male, per quasi 50 anni e pertanto, questo rischio del ritorno al passato non lo comprendo proprio, vedo di più il rischio di continuare a perseverare nel voler imporre una legge maggioritaria ad un paese che è di per sé una composizione più o meno armoniosa di differenze regionali, storiche, culturali, geografiche, paesaggistiche, dialettali. Forse l'unica vera realtà comune era, nel passato, il cattolicesimo ... ma oggidì, neanche più tanto quello.
Per un sistema complesso come quello italiano, onestamente, il vero rischio lo vedo più nella rigidezza del governo che nell'instabilità.
"La nuova legge ha l’obiettivo di superare la paralisi e le incertezze del passato, di garantire agli elettori la scelta dei deputati e di dare una maggioranza sufficiente e non eccessiva alla lista vincente in modo da assicurare la formazione di governi stabili."
Non condivido il riassuntino finale:
- la legge non supererà la paralisi e le incertezze del passato, perché esse non dipendono dal sistema elettorale, né dalla composizione numerica del parlamento, bensì dipendono fortemente dalle convinzioni profonde e dal carattere politico degli italiani, siano essi eletti od elettori;
- non garantirà agli elettori la scelta dei deputati, essi saranno scelti dai partiti, unicamente dai partiti che li avranno accolti nelle loro liste;
- darà una maggioranza eccessiva ad un partito di minoranza relativa, una maggioranza parlamentare che non sarà comunque sufficiente a formare governi stabili, perché non si può governare un paese contro la sua stessa volontà.
A meno che non si identifichi il paese con il proprio partito!
E allora, scusatemi se lo ripeto ancora una volta, questo cosa ci ricorda?
domenica 3 maggio 2015
Le Multinazionali vengono all'Expo per nutrire loro stesse, non il Pianeta
Vandana Shiva, scienziata e filosofa, è attivista politica ed ambientalista indiana, fondatrice e attuale direttrice della Research Foundation for Science, Technology and Natural Resource Policy e Presidente del Movimento Navdanya International.
Leggiamo cos'ha da dirci riguardo ad Expo 2015:
- Le multinazionali, che ci hanno portato malattie e malnutrizione attraverso i prodotti chimici e gli Ogm, attraverso il cibo-spazzatura e alimenti trasformati, hanno speso negli ultimi decenni grandi quantità di denaro per la pubblicità e per le pubbliche relazioni con un'azione di lobbying, volta a influenzare le politiche e ad affermare, in maniera del tutto falsa, che i loro prodotti sfamino il mondo.
- Si sono accordate tra loro per brevettare i nostri semi, per influenzare la ricerca scientifica, per negare ai cittadini il diritto di essere informati, attraverso leggi sull'etichettatura degli Ogm. Le multinazionali che hanno distrutto i nostri terreni e la nostra salute ora saranno tutte ad Expo. Vogliamo fare una breve lista? Mc Donald's, Coca Cola, Monsanto, Syngenta, Nestlè, Eni, Dupont, Pioneer: bastano queste a rappresentarle tutte. Le multinazionali non nutrono il pianeta, come proclama lo slogan di Expo 2015. Lo affamano. La lista degli sponsor dell'esposizione universale parla da sola.
- È coerente con tutto questo che per costruire Expo si sia occupato ancora suolo e si siano cementificati molti altri ettari di terra fertile. È sconfortante che per tanti l'esposizione mondiale sia l'occasione per far consumare più cibo. Ed è emblematico che sia stato dato un ruolo di primo piano a chi propone un cibo fatto da un'aggregazione di zuccheri e grassi, inadatto a nutrire le persone e dannoso per la nostra salute e soprattutto dei nostri figli. Cosa si può fare per impedire che Expo sia solo la passerella dell'agroindustria e di chi pensa che la strada per nutrire il pianeta sia solo scegliere la tecnologia più apparentemente innovativa o la molecola di sintesi più raffinata?
- La risposta sembra scontata: portare altri contenuti dentro questo contenitore. Ad oggi la lista degli eventi, dei dibattiti, dei luoghi di confronto in cui si costruisce una visione più ampia, inclusiva e democratica sembra ancora molto povera. Ma la cosa paradossale è che da Expo sono fuori non solo fisicamente, ma anche culturalmente i contadini italiani, europei e del mondo intero, cioè coloro che producono il cibo per i cittadini e curano la Terra. Sono i piccoli agricoltori che producono il 70% del cibo consumato nel pianeta e che stanno resistendo all'attacco dell'agroindustria mondiale. Dobbiamo fare di tutto per difendere un modello agroalimentare, fondato sull'agricoltura familiare, come quello italiano, europeo e di molti altri paesi. Dobbiamo riaffermare l'orgoglio dei tanti piccoli agricoltori di tutto il mondo che hanno mantenuto, a costo di grandi difficoltà, i loro campi e che li coltivano con i metodi biologici ed ecologici. Dobbiamo cogliere l'occasione per incontrare persone che incrociano difficilmente i temi della difesa della biodiversità e che magari pensano che la questione del cibo sia solo un tema di quello che si riesce a mettere in tavola e non una questione centrale per ridefinire l'economia e la democrazia.
- Se noi, i movimenti e le associazioni che hanno scelto di entrare dentro i cancelli di Expo, saremo capaci di aprire le porte al mondo, alle ragioni della Terra dalla quale può nascere un nuovo paradigma economico, allora è possibile che Expo diventi un'occasione. L'occasione per passare dal modello "taglia e brucia", che è proprio dell'economia lineare estrattiva delle risorse, al modello economico, politico e sociale circolare basato sulla restituzione. L'occasione per superare la linearità che produce scarti materiali (i rifiuti) e scarti sociali (i poveri, gli emarginati, i disperati) e arrivare finalmente alla chiusura del cerchio ecologico. Saremo presenti all'Expo per assicurare che non sia solo la voce delle multinazionali ad essere ascoltata. Noi vogliamo portare la voce dei semi e della terra, dei piccoli agricoltori e delle generazioni future. Aggiungere al dialogo le diversità.
- Presenteremo il manifesto "Terra viva" il 2 maggio, nel padiglione della società civile, con un invito a tutti i cittadini, per lavorare verso una nuova visione, un nuovo paradigma attraverso cui sconfiggere la fame e la malnutrizione, lavorando in armonia con la terra, non dichiarando guerra contro di lei.
T E R R A V I V A
Il nostro Suolo, i nostri Beni Comuni, il nostro Futuro
Una Nuova Visione per una Cittadinanza Planetaria
“Da questa manciata di terra dipende la nostra vita.
Amministratela saggiamente e lei farà crescere il
nostro cibo e di che scaldarci, ci offrirà un riparo e
ci circonderà di bellezza.
Abusatene e deperirà, morirà, portando con sé
l’umanità intera.”
Dalle Scritture Sanscrite Veda – 1500 a.C.
Scarica qui il Manifesto TERRA VIVA
Leggiamo cos'ha da dirci riguardo ad Expo 2015:
- Le multinazionali, che ci hanno portato malattie e malnutrizione attraverso i prodotti chimici e gli Ogm, attraverso il cibo-spazzatura e alimenti trasformati, hanno speso negli ultimi decenni grandi quantità di denaro per la pubblicità e per le pubbliche relazioni con un'azione di lobbying, volta a influenzare le politiche e ad affermare, in maniera del tutto falsa, che i loro prodotti sfamino il mondo.
- Si sono accordate tra loro per brevettare i nostri semi, per influenzare la ricerca scientifica, per negare ai cittadini il diritto di essere informati, attraverso leggi sull'etichettatura degli Ogm. Le multinazionali che hanno distrutto i nostri terreni e la nostra salute ora saranno tutte ad Expo. Vogliamo fare una breve lista? Mc Donald's, Coca Cola, Monsanto, Syngenta, Nestlè, Eni, Dupont, Pioneer: bastano queste a rappresentarle tutte. Le multinazionali non nutrono il pianeta, come proclama lo slogan di Expo 2015. Lo affamano. La lista degli sponsor dell'esposizione universale parla da sola.
- È coerente con tutto questo che per costruire Expo si sia occupato ancora suolo e si siano cementificati molti altri ettari di terra fertile. È sconfortante che per tanti l'esposizione mondiale sia l'occasione per far consumare più cibo. Ed è emblematico che sia stato dato un ruolo di primo piano a chi propone un cibo fatto da un'aggregazione di zuccheri e grassi, inadatto a nutrire le persone e dannoso per la nostra salute e soprattutto dei nostri figli. Cosa si può fare per impedire che Expo sia solo la passerella dell'agroindustria e di chi pensa che la strada per nutrire il pianeta sia solo scegliere la tecnologia più apparentemente innovativa o la molecola di sintesi più raffinata?
- La risposta sembra scontata: portare altri contenuti dentro questo contenitore. Ad oggi la lista degli eventi, dei dibattiti, dei luoghi di confronto in cui si costruisce una visione più ampia, inclusiva e democratica sembra ancora molto povera. Ma la cosa paradossale è che da Expo sono fuori non solo fisicamente, ma anche culturalmente i contadini italiani, europei e del mondo intero, cioè coloro che producono il cibo per i cittadini e curano la Terra. Sono i piccoli agricoltori che producono il 70% del cibo consumato nel pianeta e che stanno resistendo all'attacco dell'agroindustria mondiale. Dobbiamo fare di tutto per difendere un modello agroalimentare, fondato sull'agricoltura familiare, come quello italiano, europeo e di molti altri paesi. Dobbiamo riaffermare l'orgoglio dei tanti piccoli agricoltori di tutto il mondo che hanno mantenuto, a costo di grandi difficoltà, i loro campi e che li coltivano con i metodi biologici ed ecologici. Dobbiamo cogliere l'occasione per incontrare persone che incrociano difficilmente i temi della difesa della biodiversità e che magari pensano che la questione del cibo sia solo un tema di quello che si riesce a mettere in tavola e non una questione centrale per ridefinire l'economia e la democrazia.
- Se noi, i movimenti e le associazioni che hanno scelto di entrare dentro i cancelli di Expo, saremo capaci di aprire le porte al mondo, alle ragioni della Terra dalla quale può nascere un nuovo paradigma economico, allora è possibile che Expo diventi un'occasione. L'occasione per passare dal modello "taglia e brucia", che è proprio dell'economia lineare estrattiva delle risorse, al modello economico, politico e sociale circolare basato sulla restituzione. L'occasione per superare la linearità che produce scarti materiali (i rifiuti) e scarti sociali (i poveri, gli emarginati, i disperati) e arrivare finalmente alla chiusura del cerchio ecologico. Saremo presenti all'Expo per assicurare che non sia solo la voce delle multinazionali ad essere ascoltata. Noi vogliamo portare la voce dei semi e della terra, dei piccoli agricoltori e delle generazioni future. Aggiungere al dialogo le diversità.
- Presenteremo il manifesto "Terra viva" il 2 maggio, nel padiglione della società civile, con un invito a tutti i cittadini, per lavorare verso una nuova visione, un nuovo paradigma attraverso cui sconfiggere la fame e la malnutrizione, lavorando in armonia con la terra, non dichiarando guerra contro di lei.
T E R R A V I V A
Il nostro Suolo, i nostri Beni Comuni, il nostro Futuro
Una Nuova Visione per una Cittadinanza Planetaria
“Da questa manciata di terra dipende la nostra vita.
Amministratela saggiamente e lei farà crescere il
nostro cibo e di che scaldarci, ci offrirà un riparo e
ci circonderà di bellezza.
Abusatene e deperirà, morirà, portando con sé
l’umanità intera.”
Dalle Scritture Sanscrite Veda – 1500 a.C.
Scarica qui il Manifesto TERRA VIVA
lunedì 27 aprile 2015
Il mistero dei derivati nei conti dello Stato
Lo scorso anno l’Italia ha pagato 2,76 miliardi di euro in meno di
interessi sul debito pubblico, in particolare grazie agli interventi
della BCE. Peccato che nello stesso anno le perdite e il passivo legati
ai derivati siano saliti di circa il doppio, ovvero di 5,46 miliardi.
...
Benvenuti nel Paese in cui qualche decina di milioni di euro per salvare vite umane è una spesa insostenibile, ma qualche decina di miliardi di euro versati alle banche d’affari per coprire perdite finanziarie non pone problemi e non interessa nessuno.
Potete continuare a leggere qui:...
Benvenuti nel Paese in cui qualche decina di milioni di euro per salvare vite umane è una spesa insostenibile, ma qualche decina di miliardi di euro versati alle banche d’affari per coprire perdite finanziarie non pone problemi e non interessa nessuno.
Il mistero dei derivati nei conti dello Stato
di Andrea Baranes
martedì 21 aprile 2015
La Fabbrica dei Veleni, un passo avanti?
Lo scorso 17 aprile 2015 presso
l'Hotel Crowne Plaza di Limena, si è tenuto un incontro tra la
Deputata Gessica Rostellato di Iniziativa Libera, l'Assessore
regionale all'ambiente Maurizio Conte, il Sindaco di Pernumia Luciano
Simonetto, una rappresentante del comitato SOS C&C e una
rappresentante dell'associazione ambientalista La Vespa di Battaglia
Terme, per affrontare il decennale problema dei rifiuti altamente
pericolosi stoccati all'interno dei capannoni della fabbrica ex C&C,
sita in via Granze a Pernumia. L’incontro è stato organizzato
dall’Onorevole Rostellato, la quale si sta impegnando in prima
linea su questo tema: dopo aver presentato un’interpellanza
parlamentare, ha incontrato nel marzo scorso le associazioni del
territorio e visitato i capannoni con il sindaco di Pernumia e il
presidente di Bacino Padova Sud.
Nell'incontro l’On. Rostellato ha evidenziato i gravi rischi per la popolazione e l’ambiente circostante e ha chiesto all’assessore Conte cosa sta facendo la Regione per risolvere il problema, in particolare se è stato fissato l'incontro "promesso" col Ministro dell'ambiente Galletti, durante la visita dello stesso a Pernumia il 26 gennaio 2015. Conte ha riferito di aver inviato una richiesta in tal senso, ma di non aver ancora ricevuto risposta. Ha confermato che la Regione ha assegnato 1.500.000 per l’asporto dei rifiuti ma saranno da inserire in un progetto a cui dovrà partecipare finanziariamente anche il Ministero dell’ambiente, per trovare di concerto strategie per assicurarsi le risorse finanziarie mancati se si vuole giungere alla definitiva soluzione del problema. L’onorevole Rostellato si è presa l’impegno di fissare al più presto l’ incontro col Ministero, finora mancato, perché non si perda tempo prezioso.
Proprio il tempo, in tutta questa vicenda, è per noi il punto critico. Della C&C si parla e si scrive da ormai dodici anni, è stata visitata da tante autorità e di tutti i livelli istituzionali, ma ancora nessun camion di rifiuti ha portato via qualcosa da lì dentro, mentre la struttura invecchia. I finanziamenti regionali del 2007 e del 2009 sono stati impiegati solo nel 2013/2014, e gli ultimi 200.000 euro, messi in gara per il primo asporto rifiuti, non ci risulta siano ancora stati aggiudicati. A tal proposito il sindaco Luciano Simonetto, sempre nell’incontro di venerdì 17, si è impegnato a fornire tempestivamente a tutte le parti intervenute informazioni sullo stato dell’arte di tale aggiudicazione e a richiedere a Bacino Padova Sud un nuovo progetto ampliato per l’asporto dei rifiuti e lo smaltimento totale, poiché l’attuale accordo prevede la messa in sicurezza dell’edificio e l’asportazione di una minima parte dei rifiuti
Come cittadini siamo contenti che finalmente intervenga il Ministero dell’ambiente, che tuttavia nella risposta all’interpellanza scritta della stessa Rostellato, il 13 marzo scorso aveva risposto impegnandosi solo a “vigilare sull’evolversi della vicenda fornendo, qualora richiesto, l’apporto dell’ISPRA”. Auspichiamo che l’Onorevole Rostellato e l’Assessore Conte convincano invece il Ministero che non serve solo vigilanza, servono soprattutto contributi e solerzia. I cittadini, come ormai da troppo tempo, aspettano ...
Loredana Turatto: LaVespa – info@lavespa.org - web: www.lavespa.org
Annachiara Capuzzo: Comitato SOS C&C – comitatososcec@gmail.com - web: comitatososcec.altervista.org
Nell'incontro l’On. Rostellato ha evidenziato i gravi rischi per la popolazione e l’ambiente circostante e ha chiesto all’assessore Conte cosa sta facendo la Regione per risolvere il problema, in particolare se è stato fissato l'incontro "promesso" col Ministro dell'ambiente Galletti, durante la visita dello stesso a Pernumia il 26 gennaio 2015. Conte ha riferito di aver inviato una richiesta in tal senso, ma di non aver ancora ricevuto risposta. Ha confermato che la Regione ha assegnato 1.500.000 per l’asporto dei rifiuti ma saranno da inserire in un progetto a cui dovrà partecipare finanziariamente anche il Ministero dell’ambiente, per trovare di concerto strategie per assicurarsi le risorse finanziarie mancati se si vuole giungere alla definitiva soluzione del problema. L’onorevole Rostellato si è presa l’impegno di fissare al più presto l’ incontro col Ministero, finora mancato, perché non si perda tempo prezioso.
Proprio il tempo, in tutta questa vicenda, è per noi il punto critico. Della C&C si parla e si scrive da ormai dodici anni, è stata visitata da tante autorità e di tutti i livelli istituzionali, ma ancora nessun camion di rifiuti ha portato via qualcosa da lì dentro, mentre la struttura invecchia. I finanziamenti regionali del 2007 e del 2009 sono stati impiegati solo nel 2013/2014, e gli ultimi 200.000 euro, messi in gara per il primo asporto rifiuti, non ci risulta siano ancora stati aggiudicati. A tal proposito il sindaco Luciano Simonetto, sempre nell’incontro di venerdì 17, si è impegnato a fornire tempestivamente a tutte le parti intervenute informazioni sullo stato dell’arte di tale aggiudicazione e a richiedere a Bacino Padova Sud un nuovo progetto ampliato per l’asporto dei rifiuti e lo smaltimento totale, poiché l’attuale accordo prevede la messa in sicurezza dell’edificio e l’asportazione di una minima parte dei rifiuti
Come cittadini siamo contenti che finalmente intervenga il Ministero dell’ambiente, che tuttavia nella risposta all’interpellanza scritta della stessa Rostellato, il 13 marzo scorso aveva risposto impegnandosi solo a “vigilare sull’evolversi della vicenda fornendo, qualora richiesto, l’apporto dell’ISPRA”. Auspichiamo che l’Onorevole Rostellato e l’Assessore Conte convincano invece il Ministero che non serve solo vigilanza, servono soprattutto contributi e solerzia. I cittadini, come ormai da troppo tempo, aspettano ...
Loredana Turatto: LaVespa – info@lavespa.org - web: www.lavespa.org
Annachiara Capuzzo: Comitato SOS C&C – comitatososcec@gmail.com - web: comitatososcec.altervista.org
mercoledì 8 aprile 2015
Cancelliamo l’idea del nemico
Politica internazionale
di Vincenzo Buonomo
Mentre i conflitti si
susseguono, c’è chi pensa alla pace non come generica sicurezza,
ma come frutto di una relazione autentica, capace di affrontare le
cause della guerra, di rispettare le norme internazionali. Come pure
di tutelare i diritti umani, e tra questi quello alla pace. È il
lavoro del Consiglio dei diritti umani dell’Onu che finalizzerà a
breve una dichiarazione sul diritto alla pace, nonostante
l’opposizione di alcuni Paesi. Il progetto si struttura intorno a
due grandi questioni. La prima, non nuova, è la necessità di
abbandonare l’idea della guerra e imporre ai nostri Stati di
dimenticare che i contrasti si risolvono con il ricorso alle armi. Un
obiettivo problematico di fronte all’atteggiamento di tanti Paesi
che rifiutano il pur minimo impegno al negoziato, al disarmo e ad un
controllo sulla loro condotta rispetto agli atti riguardanti la pace.
Tra gli esempi meno noti, il contrasto tra l’obiezione di coscienza
e le leggi nazionali sul servizio militare, la tutela del patrimonio
artistico o l’uso di compagnie private di sicurezza che operano nei
conflitti armati.
Più vicina alle nostre
possibilità di operare per la pace è la seconda proposta della
dichiarazione: l’educazione e la formazione alla pace. Un’opera
che non può limitarsi a oscurare le immagini di combattimenti e
stragi, a sostenere armistizi e cessate il fuoco o anche a cercare di
convincere che la pace è un valore. Insegnamenti e cattedre sulla
pace abbondano, le cancellerie dei nostri Paesi sono sempre pronte a
negoziare la pace. Ma la guerra è dietro l’angolo e come ricordava
papa Francesco nel centenario della Prima guerra mondiale: «La
guerra stravolge tutto, anche il legame tra i fratelli».
Educare e formare alla
pace presuppone un cambio di paradigma: abbandonare l’idea del
nemico. È quanto sosteneva Chiara Lubich, il 28 maggio 1997 nel suo
discorso al Palazzo di vetro: «La pace, come testimoniano anche le
finalità e l’azione delle Nazioni Unite, ha nomi nuovi e richiede
in primo luogo uno sforzo che l’Onu, con il vostro speciale apporto
e il contributo di tutti, può sostenere: superare la categoria del
nemico, di qualsiasi nemico».
(da Città Nuova del
25 marzo 2015)
martedì 24 febbraio 2015
La Pace nel Corano
Ricevo dal mio amico Rosario Amico Roxas, cattolico siciliano, profondo conoscitore del mondo islamico e della religione musulmana, questo brano di attualità, che ho molto apprezzato e pubblico volentieri:
La Pace nel Corano
Stiamo vivendo un'epoca in contraddizione con se stessa, nella quale dominano la violenza e la morte, che rappresentano l'antitesi della vita. Il termine che compendia questa contraddizione è universalmente riconosciuto nella PACE, che non segna la sconfitta di una parte e la vittoria della parte opposta, ma solamente un reciproco compromesso che neutralizza gli eccessi a vantaggio di una civile convivenza.
Lo scontro tra nazi-fascismo e comunismo provocò la seconda guerra mondiale che insanguinò l'Europa e non solo. Fu il sistema democratico che generò l'equilibrio tra le parti, pur se si trattò, per un lungo periodo, di un equilibrio forzato, mantenendo in vita una "guerra fredda" che tenne il mondo sull'orlo di un ulteriore e definitivo conflitto. Vinse la democrazia, che, però, portò con sé gli eccessi del capitalismo liberista destinato a scontrarsi con le crisi economiche che avrebbe provocato, per l'avidità di pochi contro i bisogni della stragrande maggioranza della popolazione mondiale, stratificando una realtà difficile da smontare in nome di un maggior equilibrio dei diritti e dei doveri, dei bisogni del necessario contro gli abusi del superfluo. Questa contraddizione è oggi la causa di continui scontri, che non sono sfociati in una guerra dichiarata, ma si sono limitati a manifestazioni localizzate tenute sotto controllo con un esercizio sproporzionato di violenza repressiva. Oggi, sul pianeta Terra, il 2% della popolazione mondiale, possiede il 50% della ricchezza globale; la sproporzione è più che evidente e sta alla base delle attuali nubi tempestose che minacciano tempeste di violenza.
I popoli della fame, pur ricchissimi di materie prime (petrolio e gas in primis), si ritrovano aggrediti senza difesa, derubati anche dai loro stessi governanti che hanno fatto combutta con le lobby occidentali dalle quali hanno presto imparato la logica del liberismo capitalista.
La parola "PACE" ha perso così ogni significato, dovendo subire il primato di un terrorismo bilaterale che manca di velleità di conquista, ma mira a terrorizzare le popolazioni per tenerle sottomesse al potere del più forte. Per giustificare le aggressioni il potere occidentale definisce il proprio terrorismo "difesa preventiva", mentre definisce terrorismo la reazione alle violenze subite.
Ma necessita una più articolata motivazione, così si trova nell'Islam il nemico da combattere, attribuendo ad una religione caratteristiche che non ha, sollecitando anche le esasperazioni che vengono identificate come "fondamentalismo".
Si finisce con l'ascoltare un manipolo di estremisti che si elevano ad interpreti del Corano e, in nome del Libro Sacro, realizzano una contro-crociata contro l'Occidente, che le crociate le ha fatte veramente.
Poiché non sarebbe giustificabile lo spargimento del terrore in nome di rivendicazioni economiche e di conquista di materie prime e manodopera a basso costo, allora si attribuisce lo stato di pericolo ad una pretestuosa "guerra santa" unilateralmente voluta dal mondo arabo, al quale viene dichiarata una guerra preventiva, attraverso una difesa esterna ai confini che sarebbero minacciati; praticamente la certezza di una guerra per scongiurare l'ipotesi di una guerra, senza nemmeno tentare la via politica e diplomatica.
Si verifica anche una lettura di comodo del Corano, attribuendo frasi estrapolate arbitrariamente dal testo, quali valori dettati dal libro sacro che sarebbe inneggiante alla violenza nel nome di Dio.
Ovviamente viene trascurata tutta quella parte del Corano che esalta la Pace, proprio quella Pace che è inserita nell'usuale saluto arabo âlSalâm âleikum, la pace sia con voi.
E, dice il Corano (36ª58): La parola di Dio è "Pace". I cattolici hanno la bellissima frase "Gloria in excelsis Deo et in terra pax hominibus bonae voluntatis". "Pace agli uomini di buona volontà" è un concetto che si legge anche nel Corano, Corano in cui la parola "pace" è citata trentacinque volte.
Dice il Corano:
(10ª25) Dio chiama al soggiorno della Pace, e dirige chi Egli vuole sulla via diritta.
(15ª46) Entrate [in Paradiso] in pace e con sicurezza.
(16ª32) Le persone che sono buone vengono chiamate dagli angeli, che dicono loro: "La Pace sia con voi; entrate in Paradiso, come ricompensa delle vostre azioni".
La pace è anche la qualità dei maggiori profeti.
Si legge infatti nel Corano:
(20ª47) [Gli angeli dissero a Mosè:] "Pace su chiunque segue una giusta Via".
(19ª15) Di Gesù il Corano dice: La pace su di lui il giorno in cui nacque, il giorno in cui morirà, e il giorno in cui verrà resuscitato vivo.
(19ª33) E ancora nel Corano Gesù stesso ripete: La pace su di me il giorno in cui io nacqui, il giorno in cui morirò e il giorno in cui sarò resuscitato vivo.
Vediamo ora l'attualizzazione della pace fra le varie comunità del mondo, ossia fra i diversi gruppi etnici e religiosi della terra.
Dice il Corano:
(11ª118) Se il Signore avesse voluto, avrebbe fatto delle genti una sola comunità.
(16ª93) Se Dio avesse voluto, certo, avrebbe dato a voi una comunità (una religione) unica.
La varietà di comunità serve dunque, sempre come dice il Corano, perché esse si confrontino reciprocamente, concorrano l'una l'altra nel bene, e nessuna prevarichi su altre.
Jalâl âlDîn Rûmî (il san Francesco dei Sufi, 1207-1273) scrisse:
"Le vie sono diverse, la meta è unica. Non sai che molte vie conducono a una sola meta? La meta non appartiene né alla miscredenza né alla fede; lì non sussiste contraddizione alcuna. Quando la gente vi giunge, le dispute e le controversie che sorsero durante il cammino si appianano; e chi si diceva l'un l'altro durante la strada "tu sei un empio" dimentica allora il litigio, poiché la meta è unica".
Questo non è "superamento" della religione, ma "rispetto" d'ogni religione, come insegna lo stesso Corano, e la chiave di volta è il dialogo. Il dialogo ha come scopo la scoperta dei valori comuni e il rispetto dei valori altrui.
di Rosario Amico Roxas
La Pace nel Corano
Stiamo vivendo un'epoca in contraddizione con se stessa, nella quale dominano la violenza e la morte, che rappresentano l'antitesi della vita. Il termine che compendia questa contraddizione è universalmente riconosciuto nella PACE, che non segna la sconfitta di una parte e la vittoria della parte opposta, ma solamente un reciproco compromesso che neutralizza gli eccessi a vantaggio di una civile convivenza.
Lo scontro tra nazi-fascismo e comunismo provocò la seconda guerra mondiale che insanguinò l'Europa e non solo. Fu il sistema democratico che generò l'equilibrio tra le parti, pur se si trattò, per un lungo periodo, di un equilibrio forzato, mantenendo in vita una "guerra fredda" che tenne il mondo sull'orlo di un ulteriore e definitivo conflitto. Vinse la democrazia, che, però, portò con sé gli eccessi del capitalismo liberista destinato a scontrarsi con le crisi economiche che avrebbe provocato, per l'avidità di pochi contro i bisogni della stragrande maggioranza della popolazione mondiale, stratificando una realtà difficile da smontare in nome di un maggior equilibrio dei diritti e dei doveri, dei bisogni del necessario contro gli abusi del superfluo. Questa contraddizione è oggi la causa di continui scontri, che non sono sfociati in una guerra dichiarata, ma si sono limitati a manifestazioni localizzate tenute sotto controllo con un esercizio sproporzionato di violenza repressiva. Oggi, sul pianeta Terra, il 2% della popolazione mondiale, possiede il 50% della ricchezza globale; la sproporzione è più che evidente e sta alla base delle attuali nubi tempestose che minacciano tempeste di violenza.
I popoli della fame, pur ricchissimi di materie prime (petrolio e gas in primis), si ritrovano aggrediti senza difesa, derubati anche dai loro stessi governanti che hanno fatto combutta con le lobby occidentali dalle quali hanno presto imparato la logica del liberismo capitalista.
La parola "PACE" ha perso così ogni significato, dovendo subire il primato di un terrorismo bilaterale che manca di velleità di conquista, ma mira a terrorizzare le popolazioni per tenerle sottomesse al potere del più forte. Per giustificare le aggressioni il potere occidentale definisce il proprio terrorismo "difesa preventiva", mentre definisce terrorismo la reazione alle violenze subite.
Ma necessita una più articolata motivazione, così si trova nell'Islam il nemico da combattere, attribuendo ad una religione caratteristiche che non ha, sollecitando anche le esasperazioni che vengono identificate come "fondamentalismo".
Si finisce con l'ascoltare un manipolo di estremisti che si elevano ad interpreti del Corano e, in nome del Libro Sacro, realizzano una contro-crociata contro l'Occidente, che le crociate le ha fatte veramente.
Poiché non sarebbe giustificabile lo spargimento del terrore in nome di rivendicazioni economiche e di conquista di materie prime e manodopera a basso costo, allora si attribuisce lo stato di pericolo ad una pretestuosa "guerra santa" unilateralmente voluta dal mondo arabo, al quale viene dichiarata una guerra preventiva, attraverso una difesa esterna ai confini che sarebbero minacciati; praticamente la certezza di una guerra per scongiurare l'ipotesi di una guerra, senza nemmeno tentare la via politica e diplomatica.
Si verifica anche una lettura di comodo del Corano, attribuendo frasi estrapolate arbitrariamente dal testo, quali valori dettati dal libro sacro che sarebbe inneggiante alla violenza nel nome di Dio.
Ovviamente viene trascurata tutta quella parte del Corano che esalta la Pace, proprio quella Pace che è inserita nell'usuale saluto arabo âlSalâm âleikum, la pace sia con voi.
E, dice il Corano (36ª58): La parola di Dio è "Pace". I cattolici hanno la bellissima frase "Gloria in excelsis Deo et in terra pax hominibus bonae voluntatis". "Pace agli uomini di buona volontà" è un concetto che si legge anche nel Corano, Corano in cui la parola "pace" è citata trentacinque volte.
Dice il Corano:
(10ª25) Dio chiama al soggiorno della Pace, e dirige chi Egli vuole sulla via diritta.
(15ª46) Entrate [in Paradiso] in pace e con sicurezza.
(16ª32) Le persone che sono buone vengono chiamate dagli angeli, che dicono loro: "La Pace sia con voi; entrate in Paradiso, come ricompensa delle vostre azioni".
La pace è anche la qualità dei maggiori profeti.
Si legge infatti nel Corano:
(20ª47) [Gli angeli dissero a Mosè:] "Pace su chiunque segue una giusta Via".
(19ª15) Di Gesù il Corano dice: La pace su di lui il giorno in cui nacque, il giorno in cui morirà, e il giorno in cui verrà resuscitato vivo.
(19ª33) E ancora nel Corano Gesù stesso ripete: La pace su di me il giorno in cui io nacqui, il giorno in cui morirò e il giorno in cui sarò resuscitato vivo.
Vediamo ora l'attualizzazione della pace fra le varie comunità del mondo, ossia fra i diversi gruppi etnici e religiosi della terra.
Dice il Corano:
(11ª118) Se il Signore avesse voluto, avrebbe fatto delle genti una sola comunità.
(16ª93) Se Dio avesse voluto, certo, avrebbe dato a voi una comunità (una religione) unica.
La varietà di comunità serve dunque, sempre come dice il Corano, perché esse si confrontino reciprocamente, concorrano l'una l'altra nel bene, e nessuna prevarichi su altre.
Jalâl âlDîn Rûmî (il san Francesco dei Sufi, 1207-1273) scrisse:
"Le vie sono diverse, la meta è unica. Non sai che molte vie conducono a una sola meta? La meta non appartiene né alla miscredenza né alla fede; lì non sussiste contraddizione alcuna. Quando la gente vi giunge, le dispute e le controversie che sorsero durante il cammino si appianano; e chi si diceva l'un l'altro durante la strada "tu sei un empio" dimentica allora il litigio, poiché la meta è unica".
Questo non è "superamento" della religione, ma "rispetto" d'ogni religione, come insegna lo stesso Corano, e la chiave di volta è il dialogo. Il dialogo ha come scopo la scoperta dei valori comuni e il rispetto dei valori altrui.
di Rosario Amico Roxas
mercoledì 14 gennaio 2015
E' lecito all'uomo essere violento nel nome di Dio?
L’invito del Papa ai leader religiosi: denunciare la violenza in nome di Dio
"Corriere della Sera" di Mercoledì 14 Gennaio 2015.
COLOMBO (Sri Lanka)
L’accoglienza è stupefacente, i colori, i bambini, i tamburi e le danze
tradizionali, una quarantina di elefanti bardati a festa che sollevano
le proboscidi al passaggio della papamobile, centinaia di migliaia
persone di varie fedi lungo i trenta chilometri dall’aeroporto alla
nunziatura in un paese dove i cattolici sono il 7,2 per cento e
prevalgono buddisti (70 per cento della popolazione), induisti (12,6) e
musulmani (9,7).
Francesco torna in Asia, «culla delle religioni del mondo», nel viaggio che dopo lo Sri Lanka lo porterà nelle Filippine, e arriva subito al punto: «Per il bene della pace, non si deve permettere che le credenze religiose vengano abusate per la causa della violenza o della guerra. Dobbiamo essere chiari e non equivoci nell’invitare le nostre comunità a vivere pienamente i precetti di pace e convivenza presenti in ciascuna religione e denunciare gli atti di violenza quando vengono commessi».
Il volo Az 4000 atterra alle 4,22 della notte italiana, dopo avere sorvolato tra gli altri i cieli dell’Iran (con telegramma di Bergoglio dall’aereo all’ayatollah Ali Khamenei: «Le assicuro le mie preghiere per la nazione e il suo popolo, invocando su di lei le benedizioni dell’Onnipotente di pace e prosperità»), in un paese che ha conosciuto gli «orrori» di trent’anni di guerra civile tra singalesi e tamil. Il Papa dice d’essere «convinto» che le religioni abbiamo «un ruolo essenziale» per «promuovere «riconciliazione, solidarietà e pace».
Anche prima della partenza, parlando ai diplomatici, aveva contrapposto gli «orrendi massacri» del fondamentalismo che «rifiuta Dio stesso, relegandolo a un mero pretesto ideologico» alla «fede sincera, che apre all’altro». Ma per questo «bisogna che tutti lavorino assieme e abbiano voce», scandisce ora. Le condizioni sono la libertà religiosa e l’ascolto reciproco: «Tutti devono essere liberi di esprimere le proprie preoccupazioni, le proprie aspirazioni e paure. Ma soprattutto devono essere pronti ad accettarsi l’un l’altro, a rispettare le legittime diversità ed imparare a vivere come un’unica famiglia».
Il vento dall’oceano non mitiga il caldo dell’«isola splendente»: dopo il viaggio notturno e un’ora nell’auto sotto il sole a salutare la folla, Francesco è provato e salta il pranzo con i vescovi locali per riposare un poco prima dell’incontro con i leader delle altre religioni. Il coro di benedizione dei buddisti, uno scialle giallo posato sulle spalle del Papa dal rappresentante induista, il musulmano che parla di pace. E Francesco che ricorda come nel Concilio la Chiesa abbia dichiarato che «nulla rigetta di quanto e vero e santo nelle altre religioni». L’importante è che tutti siano chiari, però.
Niente equivoci: «Come insegna l’esperienza, perché tale dialogo ed incontro sia efficace, deve fondarsi su una presentazione piena e schietta delle nostre rispettive convinzioni», spiega Bergoglio. «Certamente tale dialogo farà risaltare quanto siano diverse le nostre credenze, tradizioni e pratiche. E tuttavia, se siamo onesti nel presentare le nostre convinzioni, saremo in grado di vedere più chiaramente quanto abbiamo in comune. Nuove strade si apriranno per la mutua stima, e anche amicizia».
Francesco torna in Asia, «culla delle religioni del mondo», nel viaggio che dopo lo Sri Lanka lo porterà nelle Filippine, e arriva subito al punto: «Per il bene della pace, non si deve permettere che le credenze religiose vengano abusate per la causa della violenza o della guerra. Dobbiamo essere chiari e non equivoci nell’invitare le nostre comunità a vivere pienamente i precetti di pace e convivenza presenti in ciascuna religione e denunciare gli atti di violenza quando vengono commessi».
Il volo Az 4000 atterra alle 4,22 della notte italiana, dopo avere sorvolato tra gli altri i cieli dell’Iran (con telegramma di Bergoglio dall’aereo all’ayatollah Ali Khamenei: «Le assicuro le mie preghiere per la nazione e il suo popolo, invocando su di lei le benedizioni dell’Onnipotente di pace e prosperità»), in un paese che ha conosciuto gli «orrori» di trent’anni di guerra civile tra singalesi e tamil. Il Papa dice d’essere «convinto» che le religioni abbiamo «un ruolo essenziale» per «promuovere «riconciliazione, solidarietà e pace».
Anche prima della partenza, parlando ai diplomatici, aveva contrapposto gli «orrendi massacri» del fondamentalismo che «rifiuta Dio stesso, relegandolo a un mero pretesto ideologico» alla «fede sincera, che apre all’altro». Ma per questo «bisogna che tutti lavorino assieme e abbiano voce», scandisce ora. Le condizioni sono la libertà religiosa e l’ascolto reciproco: «Tutti devono essere liberi di esprimere le proprie preoccupazioni, le proprie aspirazioni e paure. Ma soprattutto devono essere pronti ad accettarsi l’un l’altro, a rispettare le legittime diversità ed imparare a vivere come un’unica famiglia».
Il vento dall’oceano non mitiga il caldo dell’«isola splendente»: dopo il viaggio notturno e un’ora nell’auto sotto il sole a salutare la folla, Francesco è provato e salta il pranzo con i vescovi locali per riposare un poco prima dell’incontro con i leader delle altre religioni. Il coro di benedizione dei buddisti, uno scialle giallo posato sulle spalle del Papa dal rappresentante induista, il musulmano che parla di pace. E Francesco che ricorda come nel Concilio la Chiesa abbia dichiarato che «nulla rigetta di quanto e vero e santo nelle altre religioni». L’importante è che tutti siano chiari, però.
Niente equivoci: «Come insegna l’esperienza, perché tale dialogo ed incontro sia efficace, deve fondarsi su una presentazione piena e schietta delle nostre rispettive convinzioni», spiega Bergoglio. «Certamente tale dialogo farà risaltare quanto siano diverse le nostre credenze, tradizioni e pratiche. E tuttavia, se siamo onesti nel presentare le nostre convinzioni, saremo in grado di vedere più chiaramente quanto abbiamo in comune. Nuove strade si apriranno per la mutua stima, e anche amicizia».
Gian Guido Vecchi
martedì 13 gennaio 2015
La Calata della Vergogna - Regione Liguria - Paese Italia
Non si tratta di una calata, né di una cala, né di una rada o di un caruggio.
Altrimenti detta "La Calata dei Barbari"!
Dalla palta alla Paita (Marco Travaglio).
Primarie PD
Per quanto incredibile, è successo veramente. Mentre Matteo Orfini, commissario inviato da Matteo Renzi (inviato si fa per dire: non s’è mai mosso da Roma Prati da quando aveva i calzoni corti) a bonificare il Pd romano coinvolto in Mafia Capitale col contorno di tessere false e primarie truccate per scongiurare ogni cambiamento, in Liguria il Pd bandisce le primarie per il candidato governatore con le stesse non-regole che han prodotto lo scandalo romano. E infatti sortisce lo stesso risultato: plotoni di cinesi, ecuadoregni e maghrebini, ma soprattutto orde di scajoliani, ex fascisti e berlusconiani (doc o travestiti da alfanidi) assiepati ai seggi per fare da scudi umani all’Ancien Régime. Cioè al blocco di potere dei due Claudii – Burlando e Scajola – che da almeno dieci anni fa il bello e il cattivo tempo (soprattutto quando piove) e che solo qualche ingenuo poteva vedere in declino per le note disavventure che hanno azzoppato i due Diarchi.
Altrimenti detta "La Calata dei Barbari"!
Dalla palta alla Paita (Marco Travaglio).
Primarie PD
Per quanto incredibile, è successo veramente. Mentre Matteo Orfini, commissario inviato da Matteo Renzi (inviato si fa per dire: non s’è mai mosso da Roma Prati da quando aveva i calzoni corti) a bonificare il Pd romano coinvolto in Mafia Capitale col contorno di tessere false e primarie truccate per scongiurare ogni cambiamento, in Liguria il Pd bandisce le primarie per il candidato governatore con le stesse non-regole che han prodotto lo scandalo romano. E infatti sortisce lo stesso risultato: plotoni di cinesi, ecuadoregni e maghrebini, ma soprattutto orde di scajoliani, ex fascisti e berlusconiani (doc o travestiti da alfanidi) assiepati ai seggi per fare da scudi umani all’Ancien Régime. Cioè al blocco di potere dei due Claudii – Burlando e Scajola – che da almeno dieci anni fa il bello e il cattivo tempo (soprattutto quando piove) e che solo qualche ingenuo poteva vedere in declino per le note disavventure che hanno azzoppato i due Diarchi.
Altro che
viale del tramonto: è bastato un colpetto di maquillage, rimpiazzando
l’ormai incandidabile governatore Gerundio con la sua fedelissima
Raffaella Paita, indimenticabile assessora alla Protezione civile e alla
Difesa del suolo (sic) letteralmente desaparecida nei giorni fangosi e
luttuosi dell’alluvione, per garantire l’assoluta continuità col recente
passato degli affari, delle cementificazioni e dei dissesti
idrogeologici elevati a sistema. Il vero sconfitto non è tanto Sergio
Cofferati che – diversamente dalla giunta Burlando – non è mai stato
neppure sfiorato da scandali giudiziari nei quattro anni da sindaco di
Bologna, né personalmente né con i suoi assessori), e ciononostante – o
forse proprio per questo – perde in tutte le province fuorché nella
città di Genova. No, il vero sconfitto è soprattutto la speranza di
cambiamento di tanti cittadini che però, anziché andare a votare, se ne
sono rimasti a casa. Lasciando campo libero alle truppe cammellate che
hanno deciso la partita. Una partita ben più importante delle primarie
del Pd, visto che il centrodestra ha praticamente rinunciato a giocare:
dunque il vincitore sarà il nuovo governatore della Liguria. Nessuna
sorpresa: il rischio che a decidere il candidato del Pd fossero forze
estranee al Pd era stato ampiamente denunciato da giornali ed esponenti
dello stesso partito. Resta da capire perchè Renzi e il gruppo dirigente
non abbiano deciso di fermare le bocce e di concordare regole
trasparenti per prevenire i prevedibilissimi imbrogli. Sarebbe bastato,
per esempio, anche alla luce delle primarie taroccate a Napoli, Palermo e
Roma, limitare l’accesso ai gazebo agl’iscritti al Pd e alle altre
forze della coalizione, dopo aver bloccato il tesseramento due o tre
mesi prima del voto. Ma evidentemente si voleva che le cose andassero
proprio così: la Paita, in quanto burlandiana, è anche renziana, e ci
siamo capiti. Delitto premeditato. Ora si vedrà se, come afferma
Cofferati, c’è materia per la Procura della Repubblica. Ma basta e
avanza lo spettacolo a cui i presenti hanno assistito domenica. La
vincitrice fa la finta tonta: “Dov’è il problema? Gli stranieri vogliamo
farli votare o no?”. Se fossero cittadini italiani, la risposta è sì.
Ma l’impressione è che i cinesi, i sudamericani e i nordafricani
assiepati ai seggi liguri non lo fossero. E allora che senso ha che
possano condizionare, magari dietro congruo incentivo, elezioni a cui
non parteciperanno e candidature di un partito a cui non appartengono?
Non un grillino, ma il dirigente del Pd Stefano Zara dice di aver visto
“comportamenti da criminalità organizzata”. Espressione che fa il paio
con le parole pronunciate dalla futura ministra Marianna Madia nel 2013:
“A Roma, facendo le primarie parlamentari, ho visto – non ho paura a
dirlo – delle vere e proprie associazioni a delinquere sul territorio”.
Nessuno le domandò a che si riferisse. Ci pensarono poi i carabinieri e i
giudici a spiegarlo, con le intercettazioni di Buzzi, Carminati e
Odevaine. Che si fa, in Liguria: si interviene subito o si aspetta la
prossima retata?
Da Il Fatto Quotidiano del 13/01/2015.
Da Il Fatto Quotidiano del 13/01/2015.
sabato 3 gennaio 2015
Elogio della Democrazia Diretta
Per questo anno 2015 auguro all'Europa e all'Italia di sviluppare una coscienza e una prassi democratica almeno pari a quella praticata nella Confederazione Elvetica!
Elogio della Democrazia Diretta
BUON ANNO 2015 a TUTTI i CITTADINI EUROPEI!
Elogio della Democrazia Diretta
BUON ANNO 2015 a TUTTI i CITTADINI EUROPEI!
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