"io decido X Albignasego" è il nome del movimento civico che vuol dare la parola ai cittadini di Albignasego, comune della provincia di Padova ... e non solo!

sabato 28 luglio 2012

Federalismo europeo e regionalismo italiano

In questi giorni di assolata calura estiva, le amene conversazioni con amici seduti attorno ai tavoli di improvvisati stand - dove si gustano prelibate cozze marinate e piatti di spaghetti profumati dai frutti del mare - mi portano a riflettere sul malessere dell'Europa e sugli atavici mali italiani.

E mi sembra, immerso come sono nelle connessioni logiche e nei legami storico-culturali della mia terra, di vedere con maggior chiarezza le decisioni politiche da cui potrebbe scaturire la cura per entrambi questi malesseri, che ci fanno soffrire da tempo.

Si è sempre pensato all'Europa come ad una Unione di diversi, ricordate il motto "Uniti nella diversità"? Ho capito che questo tipo di approccio è in parte sbagliato. Nei confronti dell'Europa dobbiamo cambiare mente e riusciremo a farlo se cambieremo atteggiamento nei confronti del nostro paese.

Il perché è presto detto. Con la parola Unione si intende un movimento delle parti verso il centro, un processo sintropico per porta dalla dispersione all'organizzazione. Gli organismi viventi sono un esempio di questo tipo di movimento: sono infatti costituiti da cellule, tessuti, organi ed apparati che cooperano, tutti insieme, all'unità del corpo. Se anche solo uno di questi decidesse di andare in direzione diversa, cioè di divergere dalla linea comune, metterebbe a repentaglio la sopravvivenza di tutto l'organismo. Ecco qui espresso il concetto sbagliato di diversità. Non possiamo consentire che le diversità, cioè i moti divergenti (entropici), disintegrino l'Unione.

Purtuttavia, ritornando all'esempio dell'organismo, notiamo che ciascun componente è chiaramente distinto da tutti gli altri, a tutti i livelli: ogni cellula da ogni altra cellula, ogni tessuto da ogni altro tessuto, ogni organo da ogni altro organo. Guai se pensassimo di far svolgere allo stomaco il compito del polmone, al nervo il compito del vaso sanguigno, al muscolo il lavoro delle ossa. Ecco il concetto corretto di diversità: la prerogativa che consente di svolgere un compito distinto ed in armonia con tutti gli altri componenti dell'organismo.

Cosa ne faremmo di uno stomaco che non digerisse i cibi? A nulla servirebbe se non ad essere tagliato via affinché il resto del corpo non ne venga contaminato. A cosa mai potrebbe servire un cervello se non avesse la capacità di pensare e non la mettesse in pratica? Procurerebbe danni all'intero corpo vivente, fino a farlo morire!

Credo che sia chiaro il punto a cui vorrei arrivare con la mia riflessione. Lo riassumo qui: il regionalismo italiano, costruito attorno ad una ripartizione geografica, linguistica e storica dell'Italia, a sua volta suddivisa in province e comuni costituiti con lo stesso criterio (a cui oggi si devono aggiungere le città metropolitane), è ancora uno strumento amministrativo adeguato od andrebbe aggiornato coi mutati tempi e luoghi?

Penso che la suddivisione amministrativa del paese dovrebbe basarsi su altri criteri e dico subito quali:
  1. efficienza economica
  2. legami sociali e di cittadinanza
  3. sostenibilità ambientale
  4. omogeneità territoriale
  5. linee di comunicazione
La struttura regionale, provinciale, comunale, metropolitana andrebbe completamente rivisitata alla luce di questi criteri, forse abolendo qualche livello.

Potremmo chiamarli distretti, una cinquantina potrebbe essere un numero congruo, ma non vincolante. L'importante è che gli abitanti del territorio e delle città siano aggregati in unità coese secondo i cinque criteri di coerenza ed efficacia sopra citati.

Risulta così evidente che la Liguria, la Puglia e la Calabria sono troppo strette e lunghe per assicurare una efficacia amministrativa: devono essere disarticolate e riaggregate in più unità compatte e, al contempo, espanse verso le regioni limitrofe. Il Piemonte, la Lombardia, il Veneto e l'Emilia-Romagna sono troppo estese, popolate e disomogenee, andrebbero suddivise in più distretti, distinguendo le aree montane, aggregando alcune province litoranee all'entroterra (La Spezia-Massa Carrara-Parma-Reggio Emilia), il Bellunese con la Carnia, il Cuneese col Savonese, il Pavese con il Genovese, e così via.

Si eliminerebbero alcune assurdità, quali province lunghe e strette come quelle di Venezia e Livorno, che andrebbero raccordate col proprio retroterra economico e culturale.

Il Lazio e la Campania andrebbero smembrate, costituendo le città metropolitane di Roma e di Napoli, autonome e distinte dalle adiacenti zone rurali a vocazione agricola e paesaggistica.

Infine, le grandi isole dovrebbero ospitare un massimo di due-tre distretti indipendenti e coordinati (alla maniera, mutatis mutandis, della Regione autonoma Trentino-Alto Adige).

Essendo la Valle d'Aosta, l'Umbria, le Marche, il Molise, la Basilicata già della giusta dimensione, andrebbero confermate come distretti. L'Abruzzo e la Toscana dovrebbero essere suddivise in due-tre distretti ciascuna.

Ecco il vero modello federale: distretti coesi al proprio interno, sostenibili economicamente ed autonomi gli uni dagli altri, distinti e cooperanti al livello nazionale. Diversamente dall'imbroglio della Padania, col suo ennesimo parlamentino, luogo di rappresentanza non tanto di un popolo che non c'è, quanto di una ristretta cerchia di soci in affari.

Il giorno in cui i popoli fossero pronti a fare questo passo, ognuno nei propri paesi di origine, i tempi sarebbero maturi per realizzare il federalismo europeo, ad altro livello, con rinnovato impegno. Non più Stati Nazione che si guardano con sospetto e competono senza esclusione di colpi sui mercati internazionali, ma Popoli finalmente liberi di essere "Uniti nella diversità", popoli che guardano ad un centro politico aggregatore europeo, dal quale e attraverso il quale, poter irradiare la propria cultura nei cinque continenti e gettar luce su un pianeta sul quale stanno calando rapidamente le tenebre.

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